L’italiano è una lingua meravigliosamente complicata. Se immaginiamo il linguaggio come una cassetta degli attrezzi, lo scrittore-artigiano ha, grazie alla nostra lingua, degli strumenti eccelsi per esprimersi con chiarezza, per trasmettere emozioni complesse o anche solo per far divertire o eccitare i propri lettori. Chiaro che, come ogni buon artigiano, deve conoscere come si lavora e deve saper usare bene questa cassetta di attrezzi! Ora voglio approfondire due elementi di scrittura nello specifico: la sintassi e la punteggiatura. Entrambi sono alla base di quello che viene chiamato ritmo, cioè il passo e la scorrevolezza del testo. Quando scriviamo dobbiamo sempre ricordare che ci sarà qualcuno che leggerà le nostre parole, al tempo che decideremo noi.
Vediamo subito come possiamo influenzare la lettura di un nostro testo tramite la sintassi e la punteggiatura.
Il ritmo del testo
Definiamo l’obiettivo, e cioè creare un ritmo nel testo che il lettore seguirà e con cui empatizzerà. Infatti, il ritmo è la prima caratteristica di un testo che genera emozioni.
Supponiamo che vogliamo descrivere una scena di una sparatoria in auto. Più il nostro testo è veloce, incisivo e trascinante, meglio passa il messaggio di concitazione del momento. Una sparatoria descritta al rallentatore viene recepita in maniera diversa dalla stessa sparatoria descritta al fulmicotone. Qui è lo scrittore che ha il pallino in mano: decide lui come trasmettere la scena, per cui prima di tutto, deve saperlo lui stesso cosa desidera.
Altro esempio: una scena al ristorante dove due persone si stanno conoscendo, due personaggi fra cui forse sboccerà l’amore. Magari sì, magari no. Chissà. Potrebbero essere le prime schermaglie di un duello amoroso che si protrarrà per l’intero romanzo, oppure potrebbe concludersi in un nulla di fatto. Si tratta di un momento intenso e ricco di possibilità, in cui un ritmo più pesato e riflessivo aiuta il lettore a immedesimarsi con i sentimenti dei personaggi stessi. Oppure, se lo scrittore desidera soltanto seminare il dubbio che possa sbocciare qualcosa fra i due, potrebbe preferire un passo affrettato che chiude la scena e passa oltre: lo scopo era porre il germe del dubbio al lettore che fra i due personaggi potrebbe nascere l’amore. Anche qui siamo di fronte a una scelta dello scrittore, che tramite il ritmo influenza ciò che il suo testo trasmette a chi lo legge.
Certi generi poi vanno a braccetto con determinati ritmi più che con altri. Un thriller tende a necessitare un passo al cardiopalma, con il lettore che divora le pagine quasi tralasciando le descrizioni in atto pur di scoprire come va avanti la storia. Un fantasy, soprattutto nella fase in cui si svela l’ambientazione fantastica che avvolge la trama, può avere momenti concitati inseriti in un contesto più cadenzato, con un respiro più profondo e rallentato a sufficienza a far sì che il lettore assorba l’ambiente nella sua interezza. Un horror può essere uno slasher, quindi sanguinoso e velocissimo, o un mistery, dove la paura deriva dalla lenta costruzione di un orripilante mistero che attende solo di essere svelato.
Come fa lo scrittore a influenzare il ritmo del suo testo? Fra i vari strumenti che ha, i due più preziosi sono proprio la sintassi e la punteggiatura.
La sintassi
Per sintassi, nello specifico la sintassi di periodo, si intendono i rapporti che legano le proposizioni all’interno di una frase. In parole povere, stiamo parlando di stile. Le proposizioni possono essere tutte della stessa importanza e accostate per coordinazione – Stile Paratattico – oppure ci può essere una proposizione principale da cui dipendono altre subordinate – Stile Ipotattico.
Per chi non ricorda le lezioni di italiano a scuola, queste definizioni possono risultare poco chiare. Entriamo nel dettaglio dei due stili con degli esempi pratici.
Stile Paratattico
Laura stava aspettando il suo treno. Era giunto il tempo per lei di andarsene, di abbandonare la sua vita e di conquistarne una nuova, diversa. Doveva solo salire sul predellino, sedersi e lasciarsi trasportare. Aveva paura? No, per niente. Aveva fretta.
Questo è un periodo scritto con stile paratattico. Ogni proposizione ha lo stesso valore, non ci sono proposizioni che dipendono da altre. Laura sta aspettando il treno. Vuole andarsene. Vuole abbandonare la sua vita. Deve solo salire e partire. Non ha paura. Ha fretta.
Lo stile paratattico è funzionale a descrivere situazioni che gradiscono un ritmo veloce, scorrevole e immediato. Non ci interessa capire perché Laura voglia partire. Ce ne preoccuperemo dopo. Ora vogliamo solo sapere cosa sta facendo, e come si sente.
Nello specifico del mio esempio, le proposizioni sono legate prevalentemente dalla punteggiatura, per cui si dice che sono legate per asindeto.
Ribaltiamo questo esempio:
Laura stava aspettando il suo treno e fremeva che la carrozza si fermasse di fronte a lei. Era giunto il tempo per lei di andarsene e abbandonare la sua vita, infatti non aveva alcuna paura né malinconia. Aveva fretta.
Questo è sempre un periodo in stile paratattico, ma i legami fra le proposizioni sono dettati da congiunzioni coordinanti. In tal caso, parliamo di legami per polisindeto.
Queste sono le principali congiunzioni coordinanti che si usano nello stile paratattico:
- disgiuntive: o, oppure, ossia, ovvero ecc.
- esplicative: infatti, cioè, difatti, invero ecc.
- copulative: e, nemmeno, anche, né, neanche, neppure, inoltre ecc.
- avversative: tuttavia, ma, però, eppure, anzi, invece, sennonché ecc.
- correlative: e … e, o … o, né … né, sia … sia, non solo … ma anche, ecc.
- conclusive: perciò, dunque, pertanto, quindi, allora ecc.
In sintesi, qualora volessimo descrivere una situazione che necessita immediatezza, scorrevolezza e velocità di passo, lo stile paratattico è l’ideale. Usare leganti per asindeto o polisindeto è una scelta di stile. C’è chi piace lavorare più di punteggiatura, altri che gradiscono giocare con le congiunzioni. Il risultato è similare.
Stile Ipotattico
Mentre Laura stava aspettando il suo treno, rifletteva su ciò che l’aveva portata a trovarsi lì. Era giunto il tempo per lei di andarsene, dato che non aveva altra scelta se non quella di abbandonare la sua vita precedente e cercarne una nuova. Poiché non aveva più nulla da perdere, se non la sua salute mentale, non aveva alcuna paura. Al contrario, aveva fretta.
Questo è l’esempio di prima, trasformato in stile ipotattico. Ci sono proposizioni principali (Laura rifletteva, era giunto il tempo di andarsene, non aveva paura) e subordinate (mentre aspetta il treno, dato che non aveva altra scelta, poiché non aveva nulla da perdere).
Nello stile ipotattico si usano le congiunzioni subordinanti, invece che quelle coordinanti dello stile paratattico.
Queste sono le principali congiunzioni subordinanti:
- finali: perché, affinché, in modo che,
- dichiarative: che, come
- temporali: mentre, quando, dopo che, prima che, finché
- condizionali: se, qualora, purché, nel caso che, ammesso che, posto che,
- causali: perché, poiché, siccome, dato che
- concessive: malgrado, sebbene, nonostante, benché, anche se,
- comparative: così… come, più/meno… che o di quanto, tanto… quanto, ecc.
- consecutive: tanto… che, così… che, talmente… che, ecc.:
- esclusive: senza che
- limitative: per quanto, quanto a,
- eccettuative: salvo che, a meno che,
Lo stile ipotattico inevitabilmente rallenta il ritmo, dato che apre delle parentetiche dove si spiegano gli elementi subordinati. È uno stile più lento e riflessivo, utile per entrare nella psicologia dei personaggi e del contesto. Se non spieghiamo un po’ di quello che sta succedendo a Laura (che non ha più nulla da perdere), si smarrisce il senso del discorso. Lo stile ipotattico aiuta nel momento in cui bisogna affrontare scene e descrizioni complesse, con vari fattori concatenati fra loro.
Chiaro che uno stile ipotattico non deve essere necessariamente pesante. È importante usare il minor numero di congiunzioni possibili e snellire la punteggiatura lasciando solo ciò che serve, così da avere un testo ipotattico ma gradevole. Allo stesso modo, bisogna evitare l’effetto “lista della spesa” quando si ha a che fare con lo stile paratattico:
Laura aspetta il treno. Ha fretta. Vuole andarsene. Non ha paura.
Insomma, va usata la tipica “via di mezzo” fra necessità di un ritmo sostenuto (o lento) e la gradevolezza del testo. Il lettore, se si trova davanti una scena descritta troppo minuziosamente, si annoia. Se è solo una catena di proposizioni soggetto, verbo e complemento oggetto, senz’anima, si annoia ugualmente.
In conclusione, è opinione diffusa che lo stile paratattico sia più semplice e quello ipotattico più complesso da usare. Sbagliato. Non è un caso che il più tipico degli errori degli scrittori emergenti sia quello di usare uno stile eccessivamente ampolloso, pedante e ipotattico: perché viene la tentazione di dire tutto subito, aprendo parentetiche infinite, motivando i personaggi o le scelte degli stessi tramite una spiegazione fornita dallo scrittore. È molto più difficile scrivere in uno stile asciutto ed efficace, dritti al punto senza usare troppe parole… solo quelle che servono.
Lo stile paratattico è il punto di arrivo di uno scrittore, invece che il punto di partenza.
La punteggiatura
L’altro grande strumento dello scrittore, legato al discorso precedente, è l’uso della punteggiatura. Chiaramente ci sono regole di base che non serve ripetere qui, invece voglio soffermarmi sulle concessioni artistiche offerte dalla nostra lingua per manipolare l’uso della punteggiatura in maniera creativa. Come dicevo prima, lo stile paratattico prevede un legame per asindeto, quindi tramite l’uso solo della punteggiatura invece che delle congiunzioni per legare le varie proposizioni di un periodo. Ecco, l’uso della virgola, del punto e del punto e virgola è una chiave fondamentale del ritmo di un testo. Facciamo un esempio:
Laura arriva in stazione. Il treno non era ancora arrivato. Pensa che forse sarebbe il caso di comprare dell’acqua. Raggiunge il bar e si mette in fila.
Questo è un periodo paratattico per asindeto con solo l’uso dei punti. Non è un bel testo. È troppo asciutto, con quel punto martellato che interrompe continuamente la fluidità della lettura.
Giriamo il testo a nostro favore:
Laura arriva in stazione e nota che il treno non era ancora arrivato. Giusto il tempo per comprare dell’acqua per il viaggio. C’era molta gente nel bar vicino ai binari; dovette mettersi in fila con gli altri.
Questo resta un testo paratattico, con un uso più furbo del pensato e con qualche congiunzione, nonché un punto e virgola strategico. Troppi punti martellati tendono a rendere la lettura a singhiozzo, la temuta – e orribile – lista della spesa.
Il punto va usato anche con l’ottica di dare un attimo di tempo al lettore. La proposizione è finita, il lettore deve immaginarsela e capirla, in base alla scena, per poi proseguire.
Ora veniamo alla virgola.
Laura aveva una gran fame. Doveva solo decidere cosa comprare, forse un panino, magari anche uno snack. Controllò nel portafoglio, aveva solo degli spiccioli, per fortuna aveva già comprato il biglietto.
Vale il discorso precedente: non è un bel testo. Ok, ha senso e non è errato, ma tutte quelle virgole sono momenti di sospensione che, usati così a martello, rendono nuovamente la lettura a singhiozzo, troppo spezzettata.
Ribaltiamo l’esempio.
Laura aveva una gran fame. Aveva voglia di un panino, ma coi quattro spiccioli che le erano avanzati dall’acquisto del biglietto, poteva permettersi soltanto uno snack.
In questo modo, girando il testo a nostro favore, abbiamo ridotto l’uso delle virgole mantenendo inalterato il senso del testo.
Alcuni caveat
Vale una regola generale che lo scrittore smaliziato applica costantemente: laddove possibile, ridurre i segni di interpunzione e le congiunzioni, girando e modificando la frase a proprio vantaggio così da usare il minimo e ottenere il massimo.
Capitolo punto e virgola. Si tratta di un segno che, personalmente, non amo usare. Non che sia sbagliato, è ovviamente un segno permesso e, se usato con stile, è funzionale. Si può utilizzare ogni qualvolta ci si trova di fronte a una proposizione che segue la precedente e in cui il soggetto non è cambiato. È una sorta di punto, meno duro, meno netto. È un modo più dolce per legare due proposizioni rispetto al punto, ma più lento di una virgola.
Il punto e virgola è un segno che è tipico di uno stile ipotattico. Bisogna ricordarsi di non usarlo due volte di fila, perché è inelegante. Personalmente consiglio di usarlo di rado, per massimizzarne l’effetto. Se abusato, rende il testo un po’ troppo accademico e lento per i miei gusti.
Una specifica da fare che reputo necessaria, è l’uso delle parentesi. Al giorno d’oggi, in un testo narrativo, le parentesi stanno male. Si tratta di un simbolo molto utile per, appunto, aprire una parentesi su una questione e approfondirla brevemente, ma non sono belle a vedersi. Consiglio l’uso del trattino – che spezza meno la lettura e assolve lo stesso scopo con risultati migliori.
Vorrei concludere la questione punteggiatura con una mia opinione. Per anni ci hanno insegnato che le virgole negano la presenza della congiunzione “e”, perché una sostituisce l’altra. Esempio:
Per quanto fosse affamata, Laura resistette alla tentazione di comprare qualcosa, e piuttosto preferì scegliere una rivista in edicola che le tenesse compagnia durante il viaggio.
Quel “virgola, e” è voluto, non è un errore. Potevo anche togliere la virgola o la e, non cambiava molto, ma ho preferito usare “virgola, e” perché ho dato un momento di respiro al lettore. Le congiunzioni non permettono al lettore di respirare. Le virgole lo permettono, ma spezzano un po’ la fluidità. In questo caso, ho preso il buono da entrambi i segni: dovete immaginare un narratore che legge a voce alta il testo. In quel momento prende un breve respiro e prosegue a parlare.
Quindi è come una congiunzione “e”, ma con un respiro subito prima.
La mia formazione da musicista classico mi spinge a usare le cosiddette “pause di respiro”, le luftpause che in musica sono quei piccoli apostrofi che si trovano in certi punti nelle partiture, laddove i musicisti devono prendere fiato. Ecco, il mio uso delle virgole è pesantemente condizionato da questo concetto: la virgola per me è un momento di respiro che, se affiancato a una congiunzione, lo abbrevia leggermente e lo fonde in maniera più efficace con il testo.
Insomma, l’italiano è una lingua che permette qualche forzatura, soprattutto nei confronti dell’uso della punteggiatura.
Dimenticavo… ricordatevi una cosa fondamentale… dosate accuratamente i puntini di sospensione… anch’essi servono per enfatizzare un respiro, una sospensione… e se li usate di continuo se ne perde l’efficacia…
Conclusioni
La sintassi e la punteggiatura sono la base fondamentale per il ritmo del testo, e con esso, sono determinanti per definire lo stile di uno scrittore. Ci sono artisti abilissimi a tracciare lunghe ed elaborate descrizioni in sintassi ipotattica, con la punteggiatura che gioca a creare una cadenza musicale al testo, mentre altri padroneggiano la sintassi paratattica martellando il lettore e non dandogli tempo di prendere fiato, tanto è tesa la narrazione.
Io preferisco uno stile asciutto e paratattico, soprattutto nei miei titoli thriller e fantascientifici come Piano Rupe e Sialon02. Nei miei fantasy uso spesso uno stile più ipotattico, perché funzionale a descrivere con la giusta ampiezza e profondità certe scene ad ampio respiro.
Molto, molto interessanti i tuoi consigli, ne farò tesoro. Grazie