Raccontare storie è intrinseco nell’essere umano. Non appena siamo stati in grado di comunicare qualcosa con i nostri simili, che fosse tramite parole oppure gesti, versi o pitture, abbiamo scoperto di avere una vera e propria ossessione per le storie. Grazie ad esse abbiamo educato generazioni su generazioni su cos’è giusto o sbagliato, su chi siamo e da dove veniamo, e ci siamo interrogati sul perché esistiamo e cosa c’è oltre il cielo inventando nuovi modi per narrare le stesse cose.
Ma sappiamo cos’è, alla sua radice, una Storia?
Si tratta di una domanda preziosa, a cui tanti hanno provato a dare una risposta definitiva. Chi si occupa di narratologia propone la propria versione. Chi studia antropologia, un’altra. Mi permetto di dare una mia risposta, mutuata da tanti altri prima di me:
Una Storia è un percorso di cambiamento causato da una serie di conflitti e motivato da un messaggio caro a chi l’ha creata. Serve per mostrare le possibili conseguenze e gli sviluppi di esperienze senza doverle vivere di persona.
In pratica, una storia ha una doppia valenza: portare avanti certi argomenti, e farci vivere esperienze sulla carta senza doverle sperimentare sulla nostra pelle. Una sorta di vita “per proxi”.
Se ad esempio leggo (o guardo, o ascolto, o gioco) una storia su di un principe in esilio che scopre le sue nobili origini e parte per un viaggio con lo scopo di riappropriarsene, scoprendo così di avere dentro di sé le qualità per essere colui che salverà il mondo da una forza oscura e soverchiante, posso imparare dei valori e vedere in scena situazioni che magari non avrei mai l’opportunità di vivere, ma di cui posso fare tesoro.
(A proposito, avete riconosciuto di che storia sto parlando?)
Scomponiamo il significato di storia che vi ho proposto:
- C’è un percorso di cambiamento – chiamato anche arco di trasformazione
- Ci sono dei conflitti
- C’è un messaggio
- C’è qualcuno che vuole comunicare tale messaggio a qualcun altro
Ora, scendiamo nel dettaglio: cosa si intende per “percorso di cambiamento?”
Il Percorso di Cambiamento
Tutti noi cambiamo nel corso della nostra vita. Spesso è un flusso di piccoli cambiamenti che quasi non notiamo. Altre volte sono strappi che ci lasciano senza fiato. Resta che raramente restiamo fermi a lungo. Mese dopo mese, anno dopo anno, diventiamo costantemente qualcun altro, spinti da noi stessi o da fattori esterni a noi.
In una storia, la matrice primaria di movimento è appunto il percorso di cambiamento. Succedono cose, capitano eventi, avvengono incontri o scontri, che causano un continuo cambiamento all’interno di chi è al centro della nostra storia. Non c’è storia, senza un cambiamento – o a un rifiuto dello stesso, ma ne parleremo dopo.
Sebbene sia comunemente conosciuto come Arco di Trasformazione, nei miei corsi preferisco parlare di Percorso di Cambiamento perché secondo me rende più l’idea e descrive in maniera più interessante la questione: “arco” non è chiaro quanto “percorso”.
Ci sono due tipi di cambiamenti possibili:
- Interiori, cioè legati alla sfera della persona, della sua volontà, del suo carattere e dei suoi ideali
- Esteriori, cioè legati al suo corpo, alla sua vita e al suo status, alla società e all’epoca in cui vive, al mondo in cui si trova
Quando si parla di percorso di cambiamento, si fa riferimento a un intreccio di entrambi, sia interiori che esteriori. Una storia è piuttosto povera, se tratta solo di cambiamenti esteriori. Facciamo un esempio: la storia di una persona che diventa sempre più ricca, che si veste sempre meglio e si rende bello e profumato con prodotti via via più costosi, e che si accompagna a donne sempre più attraenti cambiando lavori sempre più prestigiosi. Questo genere di cambiamenti esteriori sono assai deboli, senza la loro controparte interiore. Cosa prova questo personaggio, durante questo percorso? Perché ha desiderio di essere sempre più ricco e potente e bello? Perché è così importante per lui? Cosa comporta la bellezza nel suo modo di vedere il mondo, gli altri e se stesso?
Quando ci troviamo di fronte a un cambiamento esteriore, dobbiamo chiederci cosa esso innesca nella psiche di chi lo subisce: il rapporto fra esteriore e interiore è ciò che più ci interessa, in qualità di Narratori.
Per dirla schietta, a noi interessa sapere cosa pensano i nostri personaggi di ciò che sta succedendo, ben più dei fatti di per sé.
Come minimo, il percorso di cambiamento si applica al protagonista (o protagonisti se son più d’uno) della storia. Si applica anche all’avversario, se presente. Una storia particolarmente ben riuscita applica un percorso di cambiamento a tutti i personaggi coinvolti, minori o maggiori che siano. Se prendiamo la mia gerarchia fra i personaggi, tutti i personaggi di trama hanno un loro percorso di cambiamento.
Ma cosa sono i fantomatici “eventi” di cui parlo e che causano questi cambiamenti? Si definiscono come conflitti, anche se la parola può trarre facilmente in inganno.
La Rete di Conflitti
Siamo abituati a immaginare un conflitto come qualsiasi situazione di tensione, come un litigio (sono andato in conflitto con mia suocera), una sparatoria (ho assistito a un conflitto a fuoco) o una battaglia (sono in corso conflitti nel Sud-Est asiatico).
In ambito narratologico, il conflitto è più legato al concetto di confronto. Siamo di fronte a un conflitto ogni qualvolta dobbiamo decidere se vogliamo prenderci un gelato oppure no, dato che siamo a dieta. Quando discutiamo con la fidanzata o esprimiamo il nostro pensiero con un amico, che ha fatto qualcosa che non ci piace. Quando non riusciamo a ottenere un aumento o quando la polizia ci ferma per un controllo, sperando che non trovino nulla. Ognuna di queste situazioni è un possibile conflitto, che nasce da un confronto fra noi e noi stessi, noi ed altri, e noi con il mondo o la società.
I conflitti si suddividono in:
- Interiori: appartenenti alla sfera personale, intima e psicologica di un personaggio
- Relazionali: appartenenti al rapporto con gli altri, con le persone che popolano la vita del personaggio
- Esteriori: appartenenti al mondo e alla società in cui esso vive
Facciamo degli esempi. Il personaggio sta guidando e sta pensando al suo passato, a come sarebbe potuto essere se solo avesse proseguito negli studi universitari. Egli sta avendo un conflitto interiore. Decide di fare una telefonata: chiama un suo vecchio compagno di corso, con cui però si era dimenticato di non essersi lasciato in ottimi rapporti. Non ci stava pensando: era troppo preso dalla nostalgia per ricordarselo. Parlano, ma c’è freddezza da parte dell’ex-amico. C’è distanza. Il personaggio sta avendo un conflitto relazionale. Chiusa la telefonata, nota un avviso via SMS: è arrivata l’ultima bolletta, ed è draconiana. Il governo ha alzato di nuovo le tasse e il paese si sta avvitando in una gravissima recessione, che rischia di coinvolgere lui e l’azienda per cui lavora: avrà ancora un posto a fine mese? Questo è un conflitto esteriore.
Perché parlo di rete di conflitti? Perché l’ideale è intrecciarli. È possibile fare storie portate avanti solo da conflitti interiori (tipica situazione dove l’unico nemico del protagonista è se stesso), così come esistono storie basate solo su conflitti relazionali (molte Soap), e ci sono persino storie tenute in piedi esclusivamente da conflitti esteriori (tanti western o film di guerra in bianco e nero). Ma le storie vincenti sono quelle in grado di intrecciare tutti e tre i piani di conflitto.
Nei conflitti interiori ricade l’immenso insieme dei dubbi, dei ripensamenti, delle decisioni da prendere, delle paure che causano scelte avventate, etc. Nei conflitti relazionali vivono i rapporti fra i personaggi, che siano alleati o avversari non ha importanza. Tramite i conflitti esteriori si racconta il mondo, la società e il tempo in cui vivono questi personaggi.
In altri articoli, dove parlo di Timeline e di struttura, faccio riferimento alla necessità di individuare dei Driver, cioè degli eventi necessari affinché la trama vada avanti. I Driver sono i momenti dove avvengono dei conflitti fondamentali, su tutti e tre i livelli in base alle nostre necessità.
Torniamo all’origine. Perché uno o più personaggi devono vivere in questa rete di conflitti? Cosa li motiva, cosa li scatena?
La Nube di Difetti
I nostri personaggi entrano in conflitto con se stessi, con altri o con il mondo, perché hanno pregi ma soprattutto difetti. Si tratta di un concetto apparentemente banale, ma che merita una grande attenzione. Ognuno di noi ha pregi e difetti: questo fa sì che tendiamo ad appassionarci, a entrare in risonanza, con le storie di persone con cui riusciamo a empatizzare.
Ci tengo a sottolinearlo: ciò che conta è empatizzare, non simpatizzare. Sono due fenomeni distinti. Non è necessario provare simpatia per un personaggio, per sentirsi legato a esso. È però importante ritrovarci in qualcuno dei suoi pregi o – soprattutto – dei suoi difetti.
Ora, lasciamo da parte i pregi. Sono importanti, ma non quanto i difetti. I pregi sono vitali per definire le qualità di un personaggio che gli permetteranno di superare i conflitti che gli gettiamo contro. Ma sono i difetti che li causano, li attirano e li amplificano.
Oltretutto, parlare di singoli difetti è riduttivo. Ognuno di noi ha molteplici debolezze, spesso interlacciate fra loro. Per questo, preferisco parlare di nube di difetti: i nostri personaggi saranno immersi in questa nube, che toglie loro una visuale chiara su come si comportano e su ciò che sta succedendo.
Esempio: stiamo scrivendo la storia di un investigatore privato sulle tracce di un serial killer. Il nostro uomo è attento, gran lavoratore e onesto (pregi), ma allo stesso tempo, non sa esprimere le proprie emozioni, non riesce a dire di no alle persone, tende troppo a fidarsi e prova grande amarezza per la sua vita solitaria. Ognuno di questi tratti si interseca e causa una catena di conflitti su tutti i livelli: interiore, perché tende ad avere poca fiducia in sé stesso. Relazionale, perché fatica a trovare qualcuno con cui condividere la sua vita. Esteriore, perché nel suo ufficio l’hanno più volte sfruttato per compiti ingrati che lui ha accettato senza opporsi.
Ma da dove deriva questa nube di difetti?
Il Difetto Fatale
In narratologia si parla sovente di difetto fatale, il famoso fatal flaw. Si tratta di un sistema di sopravvivenza che il personaggio ha creato nel suo passato per sopravvivere a un trauma, a una disgrazia o a un conflitto primigenio, e che è perdurato sebbene tale problema sia ormai risolto, o alle spalle.
Esempio: un adolescente problematico ruba, va in contrasto coi professori e rischia di essere espulso da scuola. Nel suo passato, ha avuto un padre violento e oppressivo, morto di recente. Per sopravvivere, il nostro ragazzo si è costruito quand’era ancora un bambino una corazza d’odio e di rabbia che l’ha portato a resistere alle angherie del padre, ma anche se ormai egli è morto, non riesce più a uscirne. Continua a non fidarsi di altre figure autorevoli come i suoi professori, e respinge chiunque prova ad avvicinarsi per timore (inconscio, che lui ancora non ha compreso) di aprirsi. Il suo vero problema è, in sintesi, l’aver perso la capacità di fidarsi degli adulti, perché farlo significherebbe mettere a nudo le sue debolezze.
Questo è un sistema di sopravvivenza, e si tratta di un difetto fatale. La nube dei difetti ha la sua origine in un meccanismo del genere. Ma non solo. In questo aspetto, la narratologia tende a limitarsi. Noi non siamo solo frutto di uno specifico trauma. Oltretutto, non è scontato che chiunque abbia avuto un trauma del genere: dare per ovvio che un personaggio debba per forza averne avuto uno per poter meritare una storia, ci limita come Narratori.
Preferisco tenere in considerazione l’ipotesi che un personaggio soffra di un difetto fatale, ma potrebbe anche non averne uno specifico, ed essere invece obnubilato dalla nube di difetti che si è alzata intorno a lui nel tempo, errore dopo errore, vizio dopo vizio, sfortuna dopo sfortuna. La presenza o meno del difetto fatale è condizionata anche dal genere che desideriamo indagare con la scrittura. Se puntiamo a scrivere un drammatico, un noir o un thriller, ad esempio, la presenza di un difetto fatale è quasi d’obbligo. Se invece ci approcciamo alla fantascienza, all’avventura o alla commedia, non è scontato che ci debba essere per forza. Sarà però importante bilanciare pregi e difetti per creare uno o più personaggi con cui i lettori possano empatizzare.
La trasformazione: da Mela a Pera
Riassumiamo: la nostra storia racconta un percorso di cambiamento causato da conflitti derivanti da difetti.
Ma come termina?
Il nostro obiettivo è portare avanti un percorso. Lo scopo finale è trasformare il personaggio, portandolo di fronte a una scelta: deve accettare i difetti che hanno causato tali conflitti, superare il suo sistema di sopravvivenza comprendendo che era esso a limitarlo (se c’è), e abbracciare una nuova visione di sé…. Oppure soccombere a essi. Questa decisione, conscia o inconscia che sia, corrisponde con il coronamento del suo percorso. Anche se all’apparenza il suo viaggio è stato legato a tutt’altro, in realtà dentro di sé il personaggio è cambiato passo dopo passo, fino a un possibile cambiamento radicale. Tale stacco finale può avvenire come no: il personaggio potrebbe non compierlo, restando così immerso definitivamente nella sua nube di difetti.
In pratica, il nostro personaggio è partito essendo mela, e ha la possibilità di diventare pera.
Tale trasformazione è irreversibile: non ci interessa più cosa succede alla pera, una volta divenuta tale. Non c’è più l’opzione di ritornare a essere mela, almeno, non nella stessa storia.
Per cui, il nostro scopo di Narratori è quello di inventare un percorso che trasformi la nostra mela in una pera, finalmente consapevole della sua nube di difetti, padrone del difetto fatale che l’ha costretta a essere mela troppo a lungo, e sopravvissuta alla rete di conflitti che abbiamo imbastito per lei.
Un finale positivo per il personaggio, è quando da mela si trasforma in pera.
Ma cosa succede se il personaggio non si trasforma?
In questo caso, possiamo usare la stessa analogia: da mela, essa diventa solo una mela marcia. La trasformazione non si compie, perché viene rifiutata. Il personaggio abbraccia la sua nube di difetti e si perde al suo interno. Il percorso di cambiamento l’ha sconfitto.
Questo è il tipico finale negativo, drammatico per il personaggio.
Capita che il cattivo di una storia, il villain, l’avversario giurato del protagonista, sia un personaggio che ha già compiuto un suo percorso fallimentare, rendendolo nemico proprio perché non è riuscito ad accettare i suoi difetti: la mela marcia diventa quindi l’opponente del nostro protagonista, perché entrambi sono partiti come mele, ma una non ce l’ha fatta per varie ragioni.
Esempio: il nostro protagonista è un padre di famiglia che ha forti conflittualità con suo padre. Quand’era giovane, egli usava violenza contro di lui per educarlo, invece che affetto e comprensione. Perché lo faceva? Perché egli stesso era stato educato in questo modo. Non conosceva altro che la violenza come mezzo per forgiare la prole. Il nostro protagonista inizia il suo percorso sulle stesse orme di suo padre. Lo vediamo agire con rabbia in famiglia. Lo vediamo sul punto di sbriciolarsi in mille pezzi, e uscire sconfitto. Suo padre lo sprona a comportarsi così: dopotutto, egli è il villain e non vuole vedere (inconsciamente) suo figlio essere migliore di lui. Ma grazie a questo lungo conflitto fra padre e figlio, quest’ultimo comprende cosa sta sbagliando e alla fine rompe la spirale di violenza: si allontana dal padre per sempre e protegge la sua famiglia per la prima volta. Il padre-mela marcia è sconfitto. Il figlio-mela diventa una nuova e bella pera.
Esiste anche una terza possibilità: il protagonista riesce a cambiare, ma questo cambiamento non porta i risultati sperati. I conflitti restano. Il problema che lo affliggeva, non si risolve. Il cambiamento, sebbene ottenuto con grande fatica, non porta il beneficio atteso dal protagonista. Da mela, esso è diventato mela candita. Un cambiamento agrodolce, che manca di esprimere tutto il suo potenziale e lascia la povera mela in balia degli stessi problemi di prima.
Questo è il tipico finale sarcastico, amaro, ironico o beffardo.
Prendiamo l’ultimo esempio: il figlio lotta contro il padre, per rinnegare l’insegnamento di violenza che egli non vuole ripetere con la sua prole. Ce la fa, ma troppo tardi: ormai il danno è fatto. Sua moglie non lo ama più. I suoi figli non vogliono più saperne di lui. Certo: ha capito che è stata tutta colpa sua. Ma questa consapevolezza di sé non gli può ridare indietro la sua famiglia.
La differenza fra Storia e Trama
Prima ho accennato ai Driver, e cioè quegli eventi necessari affinché la trama vada avanti. Finora invece ho solo parlato di storia. Tanti pensano che siano la stessa cosa. Invece, trama e storia sono due elementi narratologici distinti. La storia si interessa, come già ampiamente spiegato, di un percorso di cambiamento. La trama è la sequenza di avvenimenti in ordine temporale che accadono ai personaggi. Possiamo immaginare questi due elementi come se fossero strati. Quello più in superficie, visibile alla luce del sole, è la trama. Personaggio X ha un incidente in auto perché era distratto, si risveglia in ospedale, un medico carino gli spiega cos’è successo, dev’essere operato, ma per farlo deve perseguire una dieta particolare, che lo porterà a isolarsi a casa, dove sarà visitato da un amico piuttosto invadente che coglie l’occasione per essere sempre presente nella sua vita, etc.
Lo strato più profondo, non esposto alla luce del sole, è quello della storia. Il personaggio X era distratto perché si sente solo, ma allo stesso tempo ha paura di trovare nuovi amici, perché gli ultimi li ha persi malamente per via di una brutta incomprensione. Quando si sveglia in ospedale, è preoccupato: non ha abbastanza soldi per una situazione del genere, a causa del fatto che non ha mai dato il massimo al lavoro e ha perso i suoi anni migliori di carriera ad arrancare. Cede al fascino del medico carino ma si intristisce, perché una persona così di successo non si potrebbe mai interessare a un fallito come lui. Si butta sulla dieta in modo morboso, perché è la sua occasione di cambiare e diventare più bello e vincente. La presenza del suo amico invadente lo disturba e rafforza in lui il fatto che, forse, non ha senso soffrire la solitudine, perché vive meglio da solo. E così via.
La storia si riflette nella trama, e viceversa. Ciò che succede lungo la linea temporale, ha effetti costanti sul percorso di cambiamento. I conflitti stessi sono eventi descritti in trama, che si esplicano nella storia portando avanti la trasformazione da mela alla tanto agognata pera.
Consigli pratici
Vi starete chiedendo, e ora? Come potete usare tutte queste informazioni in modo efficace per scrivere meglio?
Si tratta di cambiare approccio. Prima di pensare alla trama – quindi agli eventi che volete scrivere, dovete concentrarvi sul percorso di cambiamento, e su cosa volete ottenere.
Ripartiamo da qui:
Una storia è un percorso di cambiamento causato da una serie di conflitti e motivato da un messaggio caro a chi l’ha creata.
Partite chiedendovi: qual è il messaggio che voglio comunicare?
Quando scrivete una storia, state raccontando cambiamenti e conflitti, in funzione di comunicare qualcosa. Questo “qualcosa” è un messaggio, che è una vostra considerazione riguardo una questione umana su cui avete una vostra opinione specifica. Non si tratta di un concetto vago: un messaggio non è, “l’amore vince sempre”, oppure “il valore dell’amicizia”. Questi sono troppo vaghi e generici, e non trasmettono cosa voi pensate a riguardo dell’amore e dell’amicizia. Invece, un messaggio può essere:
- L’amore, se protetto e coltivato, muta nel tempo e sopravvive a ogni avversità
- L’amicizia necessita di cura costante per poter dare i suoi frutti. Se trascurata, diventa fragile e può spezzarsi da un momento all’altro
- L’odio può consumare la persona più pura, se lasciato divampare senza controllo
- Certi segreti tornano sempre indietro, perché pretendono da noi il sangue e il tempo di una vita intera per essere mantenuti
Questi sono messaggi che comunicano un punto di vista tematico sulla questione.
Bene, una volta individuato il messaggio, chiediamoci: chi userò per veicolarlo? Scegliamo uno o più personaggi che vogliamo coinvolgere in un percorso di cambiamento, atto a comunicare tale messaggio. Pensiamo a come contrapporli fra loro: dopotutto, il nostro scopo è creare una rete di conflitti. Chiediamoci, cosa pensano di loro stessi? Cosa pensano degli altri, o del mondo? Troviamo pretesti di conflitto e di confronto.
Ora ragioniamo sui loro difetti. Facciamo una lista di essi, per capire che effetto hanno (a livello di conflitti) sui personaggi. Cerchiamo un difetto fatale: c’è? Ci serve? Se c’è, sarà il motore immobile, la causa primaria di tutti gli altri.
Prendiamo questi difetti dei vari personaggi e mettiamoli a confronto: dall’intreccio dei difetti di ognuno, nascono mille opportunità utili di conflitto.
Stiliamo un elenco di pregi: serviranno per imbastire alleanze fra i personaggi, e per capire come essi escono indenni o meno dai conflitti.
Infine, domandiamoci: la mia mela, diventerà pera? Oppure resterà una mela marcia, oppure diventerà una falsa mela candita?
Se vogliamo un finale costruttivo, allora abbiamo bisogno che l’arco di trasformazione si completi. Se invece vogliamo un finale amaro, duro e triste, è meglio che il personaggio rinunci alla sua trasformazione, non superando i suoi difetti.
Caso di studio
Messaggio: la società attuale ha perso certi freni che l’hanno salvata da sé stessa sin dagli albori della storia. Ora siamo in pericolo di soccombere a noi stessi, se non cambiamo rotta al più presto. Per farlo dobbiamo riscoprire certi valori, come l’amicizia e il rispetto.
Personaggi: voglio parlare di una serie di influencer che si conoscono tutti fra loro, raccontando come nascono le loro relazioni, di come si invidiano a vicenda, e di come uno nello specifico – il protagonista – cerca di primeggiare sugli altri rubando follower e notorietà.
Ha un difetto fatale? Sì, la sua famiglia ha sempre fatto pressioni su di lui perché lo ritenevano bruttino, incapace e fallito. Per sopravvivere, il protagonista da ragazzino ha creato tante personalità online con cui sperimentava cosa si provava a essere “qualcun altro”. Questo gli ha dato skill importanti, ma allo stesso tempo ha soppresso la sua vera natura, che lui ha tenuto nascosto. Sebbene ormai viva da anni da solo, non è mai davvero riuscito a distaccarsi dalle pressioni della famiglia. Continua a dare di sé immagini sempre false, perché teme di guardarsi dentro e scoprire che loro avevano ragione.
Nube di difetti: narciso, egoista, bugiardo patologico, codardo, infame.
Pregi: abile a scrivere, convincente, persuasivo, trascinante quando è “in buona”. Scrupoloso.
Diventerà pera? No. Preferisco mela candita. Alla fine il protagonista principale riuscirà a ottenere più follower non solo dei suoi amici, persino di tutti gli altri. Sarà l’influencer più noto del paese. Ma sarà rimasto solo, perché non avrà più amici. E di questi follower, persone online con cui non parla e non ha rapporti, non se ne farà più niente, perché si tratta di conoscenze effimere. Egli ha vinto la corsa alla notorietà a tutti i costi, ma perdendo del tutto la sua umanità nel percorso.
Ora, prendendo i difetti del nostro eroe, intrecciandoli con quelli degli altri – e idem con i pregi – otterrò potenziali conflitti e confronti relazionali, che si riflettono in conflitti interiori. Nel frattempo, ragionando sul fatto che nel messaggio parlo di una società che sta andando alla deriva, posso inserire confronti anche con il mondo: magari, i nostri personaggi si trovano a rincorrere la popolarità online perché le opportunità nella vita reale sono prossime allo zero. Magari vivono in zone depresse del paese. La scuola non li ha aiutati, anzi, li ha ostacolati. Eccetera.
Questo è solo un esempio di mille altri possibili. Scoprirete che, approcciandovi dalla parte del messaggio e dei cambiamenti, tante situazioni di trama nasceranno in maniera naturale, germogliando dai conflitti che vi servono per arrivare a ciò che davvero volete ottenere: un percorso di cambiamento efficace e avvincente.
Avete riconosciuto la storia che ho usato come esempio all’inizio? Ebbene, si tratta della radice più essenziale di Guerre Stellari. Approfondirò questo approccio alla sintesi di una storia nei prossimi articoli.
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