I personaggi sono uno degli elementi cardinali di una storia. Una bella ambientazione e una buona trama non sono sufficienti a creare un ottimo romanzo o racconto: senza dei personaggi efficaci, la nostra opera sarà manchevole e lascerà l’amaro in bocca al lettore. Al contrario, una storia fin troppo lineare e ambientata in un contesto banalotto, ma con personaggi memorabili, può essere amata dai lettori.

Dopotutto, ci sono interi generi che si basano sulla serialità delle trame – ad esempio, i Drama/Romance – o su ambientazioni “riciclate” – tanti Fantasy. Quello che differenzia una storia che lascia il segno, da una che verrà subito dimenticata dal pubblico, è proprio la qualità di chi la interpreta.

Prendiamo un esempio al di fuori della letteratura: se un film ha attori scadenti, non c’è budget infinito o marketing che tenga. Il film non sarà di certo memorabile! Mentre un film a budget scarsissimo e con una trama sempliciotta, può restare nel cuore degli spettatori e divenire un cult se è interpretato da attori ispirati.

Vediamo insieme come creare personaggi a cui i lettori possano affezionarsi, che possano amare e, perché no, odiare.

Tipologie di personaggi

Come ormai avrete capito se avete letto altre mie guide, ho la tendenza a schematizzare e incasellare tutto ciò che riguarda la pratica di scrittura. Anche i personaggi possono essere suddivisi in base al loro ruolo in una storia.

In ordine gerarchico, i personaggi possono essere:

  • Di trama
  • Di scopo
  • Di contorno
  • Di atmosfera

È importante sottolineare che questa schematizzazione non è granitica. Ci sono casi di personaggi di trama che possono diventare meno influenti durante la storia e passare a essere solo personaggi di contorno, ad esempio. Ma partiamo prima dalle singole definizioni.

Un astronauta nello spazio

Personaggi di trama

Si tratta di tutti quei personaggi che sono attivamente coinvolti nelle dinamiche della trama, quindi:

  • Protagonista: di solito è singolo, ma ci sono casi come nella mia saga fantasy Mordraud dove ci sono tre protagonisti paritari.
  • Coprotagonisti: personaggi di pari importanza del protagonista che condividono con esso il peso di portare avanti la storia, ma che non sono direttamente la causa e il motore degli eventi. Un esempio ideale viene dal cinema, con il film “i Goonies”: uno solo dei bambini è colui che ritrova la mappa e sogna di recuperare il tesoro, ma la sua banda di amici è coinvolta nell’ordalia e la loro importanza è paritaria. Siamo di fronte a un protagonista con un gruppo coeso di coprotagonisti.
  • Deuteragonisti: spalle, supporti, aiutanti dei ruoli principali. La spalla comica ad esempio è il tipico deuteragonista. Chewbecca è un deuteragonista, Han Solo è un coprotagonista come Leila, mentre Luke è protagonista. Il deuteragonista ha un ruolo di minore importanza in ciò che succede nella storia. Di solito influisce sulle decisioni del protagonista, oppure lo salva o lo supporta, ma in generale non avrà “l’ultima parola” su come andrà a finire la trama.
  • Antagonista (detto anche Villain): il ruolo di chi farà di tutto per impedire alla compagine del protagonista di compiere il proprio percorso narrativo. Di solito è caratterizzato allo stesso livello del protagonista: ha un passato, delle motivazioni, una volontà ben precisa ed è a tutti gli effetti “un protagonista in negativo”.
  • Oppositori: sono i deuteragonisti dei cattivi, cioè gli aiutanti del Villain

Questa prima famiglia di personaggi è la più importante ed è quella che “regge” la trama in ogni sua parte.

Un cavaliere affranto a terra

Personaggi di scopo

Questo gruppo di personaggi fanno parte della schiera di figure più o meno importanti che lo scrittore colloca all’interno della trama affinché assolvano a uno scopo preciso. Potrei anche chiamarli personaggi-driver, riferendomi a come io suddivido gli eventi di una storia. Questi personaggi sono totalmente asserviti e funzionali al progredire degli eventi. Lo scrittore li colloca in un momento e luogo preciso, in un punto esatto del suo libro, perché ha necessità che succeda qualcosa. Faccio un esempio pratico:

 

Il nostro protagonista è Lancillotto, cavaliere di Re Artù. La storia segue la sua vita (protagonista) che s’intreccia con gli ordini e le missioni assegnate da Artù stesso (coprotagonista). Il nostro cavaliere deve affrontare una sfida sovrumana, così visita il lago magico nella speranza di una benedizione. Appare così la Dama del Lago, che consegna all’eroe una spada che gli servirà per completare la sua missione.

 

La Dama del Lago, nel nostro caso, è un personaggio di scopo: serve per donare all’eroe l’oggetto necessario per andare avanti nella storia. Senza la Dama del Lago, non ci sarebbe avanzamento della trama.

Non possiamo considerare la Dama come un deuteragonista, dato che appare, svolge il suo compito per poi non tornare mai più in trama. Non possiamo nemmeno trattarla come una figura marginale, dato che è letteralmente la fautrice della vittoria dell’eroe. Quindi siamo di fronte a un personaggio che assolve a un driver ben preciso, e cioè l’ottenimento dell’oggetto magico.

Questi personaggi vanno valorizzati in poche pagine, perché appaiono per completare il loro scopo poi spariranno, magari lasciando nel personaggio delle emozioni importanti.

Un negoziante che serve del cibo

Personaggi di contorno

Una buona storia non ha solo personaggi in primo piano: un buon contesto valorizza una trama efficace e la rende memorabile. Partiamo da un esempio.

 

Il nostro eroe è una guardia giurata la cui vita è noiosa e piatta. La sua routine prevede di passare all’alba tutti i giorni in un vecchio bar di cui conosce il titolare, dato che era un suo compagno di scuola. I dieci minuti del caffè e cornetto sono il momento più divertente della sua giornata, altrimenti orrenda. Il barista dice sconcezze, parla male della politica e si arrabbia per i risultati sportivi, mentre la nostra guardia sta lì ad ascoltarlo ricordando i bei tempi della scuola. Ma quel giorno, proprio quel giorno uguale agli altri, una volta uscito dal bar succederà qualcosa che cambierà la sua vita del tutto.

 

Nella nostra trama, la guardia non tornerà più al suo amato bar, se non per un passaggio sul finale quando finalmente avrà completato il suo percorso, in una chiusura dolce-amara. Il barista ha avuto uno scopo? No, perché serve solo a dare contesto e spessore alla vita del protagonista. Ha fatto qualcosa per dare una mano all’eroe? No. È servito per far avanzare la trama? Neanche.

Però resta un personaggio che ha un suo posto ben preciso, e cioè quello di far risaltare certi vizi e virtù dell’eroe.

Questo personaggio non è di scopo, né è un deuteragonista di alcun tipo. Resta fuori dagli eventi, fa solo “colore”. Però senza questo colore, la nostra guardia sfortunata perde di caratterizzazione, quindi non possiamo neppure tralasciarne l’importanza. Possiamo immaginare i personaggi di contorno come occasioni per parlare del protagonista, far emergere elementi del suo passato e della sua visione della vita: come se fossero uno specchio che mostra al lettore altri lati del protagonista.

Altri esempi: il vicino di casa ficcanaso che appare sempre nel momento meno opportuno, il soldato della squadriglia che fa il buffone e poi muore in un modo particolarmente stupido, il macellaio del paese che fa paura ai bambini, i due mafiosi che fanno piantone nella villa del boss e si dimenticano ogni volta il nome del protagonista.

Questo tipo di personaggi sono tipicamente macchiettistici, un po’ esagerati, caratterizzati con quel pizzico di esasperazione affinché restino in mente anche se spariranno dalla trama. Capita spesso che i lettori si affezionino a queste figure e addirittura riconoscano in essi una certa impronta stilistica dell’autore.

Personaggi di atmosfera

Siamo all’ultimo gradino d’importanza nella scala gerarchica dei personaggi, al punto che forse potremmo neppure definirli come tali: si tratta di tutte quelle figure che stanno sullo sfondo di una scena, che arricchiscono l’ambiente ma che interagiscono poco o niente con gli attori principali. Gli avventori di una taverna, i passanti in una via dello shopping, la cameriera di un ristorantino. Soggetti che vengono descritti in due parole, senza nome e senza storia. Ciò non significa che vadano tralasciati o trascurati. Una taverna medievale è bella se è piena di gente, oppure vuota ma con loschi figuri senza volto, immersi nelle ombre degli angoli. Una via londinese degli anni ’60 sarà popolata da frotte di ragazzi e ragazze alla moda che ridono e scherzano, e così via.

Come si approcciano questi figuranti? Calandosi nell’atmosfera della situazione e descrivendoli come fossero parte della scenografia. Vanno fusi nell’ambiente inserendoli in maniera organica nella descrizione della scena. Un esempio al volo:
Frank era in taxi e stava osservando la città scivolare nella notte fuori dal vetro chiazzato di pioggia. Barboni con i carrelli carichi di cianfrusaglie, colletti bianchi con la valigetta e la faccia di chi stava ancora pensando all’ufficio, una bottega afghana con un nugolo di immigrati che facevano chiasso intorno a un vecchio boombox a pile. Due ragazze condividevano lo stesso ombrello e tremavano di freddo mentre aspettavano un taxi libero, spalle scoperte e gambe nude pronte per la discoteca. La sua città, pensò Frank. Sporca, viziosa e ossessionata dal successo. Non voleva trovarsi in nessun altro luogo se non lì, a sfrecciare nella notte piovosa.

In questo esempio, tramite i personaggi d’atmosfera ho creato uno scenario umano e urbano che si mescola nella descrizione muovendosi a carrello.

La città poteva essere descritta anche senza persone, ma non avrebbe avuto lo stesso effetto sporco, metropolitano e multietnico.

Quanto devo raccontare di un personaggio?

Domanda banale, ma merita di essere posta. Basandomi su ciò che ho detto finora, è necessario identificare una nuova suddivisione:

  • PERSONAGGI NECESSARI: di trama, di scopo
  • PERSONAGGI DI RIEMPIMENTO: di contorno, d’atmosfera

Perché questa distinzione?

I personaggi necessari (di trama e di scopo) sono quelli che reggono la trama sulle loro spalle, o perché ne sono il motore (di trama) o perché sono funzionali a far avvenire certi passaggi importanti (di scopo). Questi personaggi meritano di essere descritti nella loro completezza: aspetto fisico, dettagli particolari, comportamenti, nome, atteggiamenti, riferimenti al loro passato. In base alla loro importanza all’interno della storia, avremo personaggi più o meno completi.

I personaggi di riempimento (di contorno e di atmosfera) sono quelli che danno “il colore e il sapore” al contesto, per cui possono anche stare in secondo piano e mancare dei tanti dettagli che invece caratterizzano i personaggi principali. Possono avere un nome (soprattutto nel caso dei personaggi di contorno), ma mancano di un passato se non appena accennato, e vengono descritti in poche righe, con giusto ciò che serve per amalgamarli con la storia e la scena.

Il vicino di casa che citavo prima si chiamerà Carlo, ha un occhio guercio e parla con tono troppo stridulo, ma non ci interessa sapere perché ha l’occhio guercio e che scuola ha fatto da giovane! I passanti sotto la pioggia che Frank ha osservato durante il viaggio in taxi non hanno neppure un nome, ma dal loro abbigliamento si può inferire qualche piccolo dettaglio della loro vita. E così via.

Quindi ora concentriamoci solo sui personaggi necessari: quanto dobbiamo spingerci a descriverli?

Un personaggio all’interno di una storia, lunga o breve che sia, è un soggetto che è calato in un contesto e che compie azioni inerenti alla trama. Può rivestire un ruolo marginale, come una spalla comica che alleggerisce solo certe scene, o può trattarsi del protagonista principale: il succo non cambia. Siamo di fronte a un’entità che è contestualizzata in un’ambientazione e che agisce all’interno di una trama.

Perché è importante partire dalle basi? Il motivo è presto detto. Un personaggio è funzionale solo per ciò che mostra all’interno della storia, non per il suo passato – che non è descritto – e per il suo futuro – che esula dalla trama. Non ha alcuna utilità creare personaggi con storie pregresse incredibili e dettagliatissime, se poi tale lavoro non porta ad azioni e conseguenze all’interno della nostra storia.

Questo è un punto controverso. Tanti scrittori dedicano enormi risorse e tempo a creare articolate “lore” (inglesismo molto usato per definire il contesto allargato di un personaggio o di un’ambientazione) che tracciano prendendo montagne di appunti, ammassando collegamenti e trovando motivazioni, con l’obiettivo di creare personaggi ricchi, sfaccettati e densi di informazioni.

Ma tutto ciò ha senso e sarà utile solo se tale “lore” diventa importante per la storia che i personaggi vivranno. Se resta solo un background descritto in due righe e mai più citato o funzionale agli eventi, si tratta di tempo e risorse sprecate: tanto vale studiare solo quel poco che c’è da dire, e che serve per dare spessore al personaggio in questione.

Una donna in bianco e nero che sorseggia da un bicchiere

Faccio un esempio.

Abbiamo una storia con protagonista un investigatore privato. Durante le indagini, conosce una cantante da night club che ha informazioni utili. Questa ragazza sarà un personaggio centrale nel capitolo in questione, e magari tornerà utile come comparsata più avanti nel romanzo. Si tratta quindi di un personaggio di scopo. Tipicamente, lo scrittore inesperto tende a caricare un personaggio del genere con una gran quantità di background, per dargli un peso e motivarne l’esistenza: vuole che il lettore resti affascinato e si leghi alla cantante, che si chieda se stia dicendo o no la verità, se possa nascere un flirt con il protagonista.

Per fare ciò, spesso sbaglia a inserire una gran quantità di descrizioni del passato, di “spiegoni” e monologhi interminabili con il solo scopo di parlare di lei o di quello che le è successo. È un errore tipico: si teme che un personaggio non lasci il segno, se è presente per poche pagine, per cui si carica la sua presenza in maniera eccessiva. Per cui si perde tempo ed energia a comporre un background inutilmente sfaccettato per un personaggio che è, appunto, di scopo.

Come al solito, ci vogliono misura e ritmo.

Allo stesso modo, altri scrittori alle prime armi tendono a tralasciare i personaggi minori per concentrarsi solo sui loro idoli, il protagonista, il coprotagonista, il villain eccetera, mentre i personaggi di contorno o di scopo vengono relegati a figure bidimensionali con solo un nome – a volte nemmeno – e una breve descrizione fisica. Anche questo è sbagliato: il lettore ama immergersi e immaginare cosa sta leggendo, per cui se proponiamo dei personaggi vuoti e privi di spessore, stiamo impoverendo la narrazione e il legame che si crea fra l’opera e chi la fruisce.

Per cui, è importante ricordarci che la storia e il contesto di un personaggio sono utili solo nei limiti di ciò che serve espressamente affinché la sua presenza in scena sia efficace, non di più, non di meno.

Per tornare all’esempio di prima, la nostra cantante di night può essere tratteggiata in modo da lasciare il segno sul lettore e far sorgere dubbi interessanti sul suo ruolo in trama, tramite le azioni che compie (la sua sfuggevolezza, il tono con cui parla, il modo in cui guarda il protagonista), certe affermazioni ficcanti (battute, commenti caustici, brevi digressioni, “detto/non detto”), magari anche un momento tutto per lei in cui spiega qualche lampo del suo passato motivando i suoi comportamenti attuali. Ma non ci interessa sapere quando e dov’è nata, chi l’ha cresciuta, com’è stata educata, con chi vive, etc – sempre che questi dettagli non siano funzionali alla trama in atto e allo scopo per cui l’abbiamo creata.

Odiare un personaggio

Di solito, ogni storia ha un cattivo, il nemico giurato, il bastardo che farà di tutto per frenare il percorso dell’eroe e dei suoi sodali. In passato, i Villain erano figura piuttosto stereotipate, i tipici “cattivi per definizione”: devono essere crudeli, perché sì. Nel tempo questa cosa è cambiata e si è giunti a considerare il Villain alla stregua del Protagonista, dandogli uno spessore maggiore, delle motivazioni più forti e un’umanità più sfaccettata. Si nota una generale tendenza contemporanea a creare nemici che, in fondo, non lo sono nemmeno, e si trovano a fronteggiare il Protagonista solo perché ci si trova di fronte a uno scontro di visioni e idee, più che di bene e male.

Si tratta di una tendenza positiva, che però non deve essere abusata. Se si decide di fare un Villain che non ha in realtà un atteggiamento e comportamenti negativi, ma che il suo unico “reato” è quello di vedere il mondo e la vita diversamente dal Protagonista, è importante che tale divario sia enfatizzato e messo al centro di eventi specifici (i driver) così da mettere in chiaro il perché, alla fine, il Villain è davvero nemico del Protagonista. Così facendo, sarà chiaro il motivo del contendere, e ci si potrà concentrare su tutto ciò che renderà indimenticabile il duello fra le parti.

Primo piano di Chewbecca da Star Wars

Un’altra tendenza contemporanea è quella di spingere il lettore a odiare un personaggio che teoricamente dovrebbe essere Protagonista o comprimario, ma che viene tratteggiato in maniera abietta e meschina con lo scopo di generare repulsione nel lettore. Questo perché si usa un meccanismo di psicologia inversa che ci spinge a tifare contro il protagonista stesso, per cui siamo spinti ad andare avanti a leggere per vedere cosa gli succede. Di solito, questa scelta porta a un bivio: sul finale è possibile redimerlo, facendogli compiere il tanto atteso gesto di bontà che mancava dall’inizio, oppure punirlo facendolo morire o soffrire malamente.

Bisogna stare attenti in questo caso: se si crea una repulsione troppo forte, il lettore sarà spinto ad accantonare la storia. Bisogna ricordarsi di tanto in tanto di svelare lati del Protagonista che mitigano la sua sgradevolezza, così da smuovere quel pizzico di empatia necessaria affinché il lettore, in fondo, ci si affezioni a sufficienza per voler andare avanti.

Conclusioni

Come dico spesso, la scrittura è artigianato più che arte. Ogni elemento di un libro ha una sua funzione. Spesso è inutile spendere troppe parole in lunghe descrizioni dei suoi stati d’animo, di cosa pensa, di cos’è successo nel suo passato o cosa si aspetta dal futuro, se ciò non ha dirette implicazioni negli eventi.

Inserire dei momenti di consolidamento è importante, ma ciò che conta maggiormente è far arrivare al lettore la profondità di un personaggio, tramite le sue azioni.

  • Il passato di un personaggio può essere detto tramite dialoghi posti volutamente, affinché emergano elementi funzionali alla trama che motivano le sue azioni, sempre mantenendo un buon passo e ricordandosi di inserire nei botta e risposta anche parti che spingono avanti la trama
  • Ciò che pensa può trasparire da espressioni, gesti e movimenti
  • I suoi scopi possono emergere dalle decisioni che prende e da come si relaziona con gli altri comprimari

E così via. Le azioni di un personaggio sono più importanti di un intervento dall’esterno dello scrittore, che tende a voler imporre al lettore lunghe descrizioni solo per timore che chi si sta godendo l’opera, “non stia capendo”. Così facendo in realtà stiamo solo dando la famosa pappa pronta al lettore, non lasciandogli lo spazio necessario a vivere la storia.

Fun fact: ho scritto due libri in cui non ho mai usato un nome proprio per nessun personaggio coinvolto. Si tratta di un esercizio di stile molto divertente e che crea una condizione particolarissima, e cioè i personaggi diventano “icone”, delle allegorie senza tempo e spazio, dei “contenitori” in sui il lettore si immerge totalmente.

Vecchio Conio è un noir, mentre Piano Rupe è un thriller distopico. In Mordraud invece ho usato tre personaggi principali, tre fratelli i cui percorsi si intrecciano e si scontrano, senza che nessuno dei tre sia più rilevante degli altri ai fini della grande conclusione collettiva.