Capita di imbattersi in tante guide online che danno consigli su come scrivere soffermandosi sui concetti generali, sulle buone prassi e su come coltivare le idee per produrre un bel testo. Anch’io non sono da meno e infatti seguo determinati schemi. È più raro invece trovare dei consigli pratici e direttamente applicabili al “lavoro” di scrittura. Approfondimenti tecnici su questioni del tipo, come si scrive un buon dialogo? Oppure come impostare una descrizione efficace? Sono per certi versi dei piccoli segreti di chi scrive, anche perché stiamo parlando di ciò che differenzia uno scrittore dall’altro, la propria “firma” insomma.
Andando controcorrente, desidero confidarvi alcune mie tecniche pratiche di scrittura. Sono frutto della mia esperienza come scrittore per cui non hanno carattere di verità assoluta, ma credo rappresentino dei consigli, se non validi, almeno sensati per produrre un buon testo.
Intendo spiegarvi alcuni trucchi per scrivere meglio riguardo:
Volete ascoltare una lezione riguardo questi argomenti? Ecco un audio dove parlo di descrizioni, ritmo e dialoghi:
Descrizioni
Una buona descrizione è ciò che permette al lettore di immaginare la scena. Un libro può avere una trama eccelsa, ma se le descrizioni sono carenti risulta stucchevole, piatto e poco immersivo. Io non amo le descrizioni esasperatamente lunghe e ipotattiche (per dirla schietta, quando si aprono e chiudono numerose virgole in una sola frase, creando frasi interne subordinate). Preferisco descrizioni più asciutte, veloci e con un certo movimento. Dato che molto spesso una descrizione avviene perché stiamo osservando (e quindi descrivendo) dal Punto di Vista (POV) di un personaggio, cerco di immaginare di avere una telecamera in mano e muoverla di conseguenza. È un escamotage tipico della creazione di sceneggiature per rendere più appassionanti le scene descritte.
Ora elencherò i movimenti che uso:
- carrello: destra-sinistra o il contrario, diagonale, arco, circolare
- pan: il soggetto fermo in uno scenario che cambia
- Tilt: dall’alto al basso o il contrario
- Zoom: da lontano a vicino, da vicino a lontano
- Apertura/Chiusura: da piccolo a grande, da grande a piccolo
Una serie di esempi pratici
Carrello: Frank era entrato nel bar e aveva salutato il solito vecchietto che stava all’ingresso. Il lungo bancone di mogano percorreva il salone in tutta la sua lunghezza, con i soliti quattro ubriaconi seduti in fila sugli sgabelli. Il barista era in fondo e stava pulendo dei bicchieri, mentre osservava una noiosa partita di biliardo fra due ragazzini che stavano sbocciando sonoramente nell’angolo remoto del bar.
Pan: Sto sfogliando distrattamente la rivista che ho pescato dalla tasca del sedile di fronte. Un giornaletto scandalistico in giapponese di cui capisco a malapena le figure. Fuori dallo Shinkansen la campagna di Hokkaido scorre a una velocità che mi impedisce di gustarmi il paesaggio. Almeno posso ammirare i colori dell’autunno giapponese, le macchie gialle dei Ginko, il grigio cenere del mare del nord, il nero grumoso dei campi in attesa della semina. Sta passando un carrello di bevande, che mi ignora. Con la solita cortesia delle hostess locali, una gentile signorina mi sfiora il gomito e si inchina due volte per scusarsi, prima di passare oltre.
Tilt: Paul non riusciva a guardare altro che lei. Cinthia quella sera era di uno splendore che stordiva. I capelli biondi e ricci, gli occhi acquamarina e la spruzzata di lentiggini sul nasino perfetto, le labbra definite da un tocco di rossetto. Alle orecchie portava i pendenti che le aveva regalato lui all’insaputa del padre. L’abito le lasciava scoperto l’incavo del seno, dove faceva bella mostra di sé un diamante incastonato nel platino. L’abito da sera in strass argentei le fasciava i fianchi e si apriva a spacco sulle gambe nude. Si era messa i tacchi alti, solo per fare un piacere segreto a lui.
Zoom: Chissà cos’è rimasto di casa mia. Da quanto tempo manco dal villaggio? Dieci anni? Venti? Ho perso il conto delle stagioni passate a combattere gli infedeli nel deserto. Osservo il nulla all’orizzonte seduto sulla polena di prua, intanto ritorno alla mia infanzia, quando con gli altri ragazzi giocavamo nel cortile del castello in cima alla collina. Ci inseguivamo fra i bassocomodi degli artigiani, poi ci lanciavamo di corsa lungo la discesa che attraversava il quartiere vecchio, fra le viuzze che si strozzavano man mano che ci si avvicinava alla spiaggia. L’ultimo che arrivava doveva pagare penitenza e camminare sulle mani lungo i moli protesi sul mare, fra i pescatori che ciarlavano e gli spalloni che caricavano i vascelli. Il vincitore aveva il diritto di suonare la campanella in vetta al molo più lungo, quello che vedo proprio ora apparire dalla curva dell’orizzonte. Mi sembra quasi di sentirla, quella maledetta campanella.
Apertura/chiusura: Elena era china sul fiore che aveva trovato fra l’erba. Chissà come si chiamava. Era blu come il cielo di certe mattine assolate. Se lo strappava avrebbe potuto chiederlo alla nonna, ma così facendo avrebbe disturbato la fila di formiche che girava intorno allo stelo. Le seguì con gli occhi, divertendosi a contarle. Provenivano da un cumulo di terra smossa davanti a lei, una collina in miniatura in una foresta di lame smeraldine. L’albero nei pressi gettava un’ombra su di lei che si estendeva fino al ruscello. Oltre, Elena non sapeva bene cosa ci fosse. La nonna non voleva che attraversasse l’acqua, a suo dire era pericoloso. C’erano altri alberi, più scuri e contorti, che segnavano l’inizio del bosco. Uno in particolare svettava sugli altri, una mano scheletrica di legno bianco che fendeva il letto di chiome e reggeva, in un curioso gioco di prospettive, la vetta della montagna in lontananza. I ghiacciai in cima scintillavano confondendosi con le nubi. Stava per piovere, si disse. Meglio tornare verso casa.
La chiusura di una descrizione
Al termine della descrizione che si è mossa seguendo una delle scelte precedenti, il soggetto sarà libero di spostarsi e cambiare scena, oppure di pensare ad altro, o ancora potrebbe iniziare un dialogo. Questo cambio di scena è facilitato dal fatto che il lettore è stato portato dalla descrizione verso qualcosa, e quel “qualcosa” sarà l’uscita di scena che permette di passare oltre e continuare con il testo.
Esempio: Mi chiedo quanto ci metteranno a finire questo maledetto esercizio. Fisso l’astuccio rosso di una delle corsiste e mi chiedo per l’ennesima volta cosa ci faccio qui. Quel maledetto astuccio pieno di matite colorate. Io dovrei essere dietro la cattedra di un’università prestigiosa, altro che in questa saletta di periferia a insegnare tecniche di base di disegno. La corsista con l’astuccio si sta impegnando anima e corpo a disegnare un orribile ritratto. Le altre dietro di lei, lungo il tavolone delle esercitazioni, non sono da meno. Non c’è una mezza persona dotata, oltre a me, in questa sala. Sbircio in fondo, dove c’è la porta illuminata di rosso che segna l’uscita d’emergenza. Magari potrei andare a fumarmi una sigaretta. [DESCRIZIONE A ZOOM, CON CHIUSURA SU UN’USCITA PER LA SCENA]
“Ci voleva proprio” penso mentre accendo l’ultima Marlboro del pacchetto. Il retro della sala è ancora più deprimente che il resto all’interno. [LA SCENA PARTE DA DOVE E’ GIUNTA LA VISIONE DEL PERSONAGGIO NELLA DESCRIZIONE PRECEDENTE]
Ci sono occasioni in cui è interessante che il lettore sia portato a guardare o a essere in un punto, ma qualcosa di inaspettato lo riporti indietro o altrove interferendo con la situazione. Questo trucco è usato spesso per aprire dei dialoghi a sorpresa.
Esempio: Sto aspettando il treno sulla banchina. Sarà quella giusta? Guardo il biglietto stropicciato, il numero è sbiadito ma credo sia il binario 16. Al mio fianco c’è il pannello degli arrivi, lo sbircio seguendo con il dito la riga giusta. Sì, direi che è questo. Dovrebbe essere già arrivato, ma a quanto pare ho l’orologio avanti di parecchi minuti. Alzo lo sguardo in cerca dell’orologio digitale della stazione, che è proprio sopra di me. Sono lì che cerco di capire che ore siano, dato che ho dimenticato gli occhiali a casa e sono cieca come una talpa, [FIN QUI, MOVIMENTO TILT CONCLUSO VERSO L’ALTO] quando un tocco alle mie spalle mi fa sobbalzare. [EVENTO CHE SORPRENDE E CAMBIA LA SCENA, RIPORTANDO INDIETRO IL POV AL PUNTO INIZIALE]
“Jacqueline?”
Quando mi volto, scoppio a ridere. Cosa ci fa lui qui?
“Jack, quanto tempo…”
Questi stratagemmi permettono di creare situazioni avvincenti sempre in movimento, legando il lettore a proseguire con l’opera perché deve sapere cosa succede dopo.
Dialoghi
Si dice che il dialogo sia la vera e propria dimostrazione dell’abilità dello scrittore, nonché il suo “marchio di fabbrica”. Si riesce a riconoscere certi autori leggendo un loro dialogo decontestualizzato dal resto del testo, grazie alla forte caratterizzazione che sono in grado di imprimere al proprio stile.
Ora descriverò come io costruisco un dialogo. Ci sono mille e più modi diversi ovviamente, né il mio è il migliore in assoluto. Ma credo che sia equilibrato a sufficienza e ben comprensibile a qualsiasi lettore.
Prima di tutto, ecco le cose importanti da ricordare:
- Evitare i dialoghi “a elenco puntato”. Non deve sembrare una lista della spesa di frasi una dietro l’altra
- Usare “disse” e “rispose”, nonché i sinonimi, il meno possibile, ma non esimersi da usarli se non è chiaro chi stia dicendo cosa
- Predisporre il dialogo in modo da facilitare la scena e la comprensione delle persone coinvolte
- Alternare momenti di dialogo a brevi momenti di pausa, di respiro per il lettore: il POV che guarda altrove, il dialogante con il POV che contraccambia uno sguardo o fa un gesto, momenti del genere che servono a ridefinire chi sta per parlare subito dopo.
- Quando cambia l’argomento, ridefinire i soggetti coinvolti nel dialogo
- Parlare come nella realtà della storia. Calarsi nel registro di chi parla.
- Interrompere un lungo dialogo con un’azione minore del parlante, poi riprendere: la cosiddetta pausa di fiato, o luftpause. Non più di una volta.
- Alternare frasi più brevi a frasi più lunghe, la lunghezza delle frasi del dialogo è il ritmo del dialogo stesso.
- Poche parentetiche, se non nulle (non aprire frasi con virgole subordinate)
Un esempio di dialogo che segue queste regole
Frank era entrato nel bar e aveva salutato il solito vecchietto che stava all’ingresso. Il lungo bancone di mogano percorreva il salone in tutta la sua lunghezza, con i soliti quattro ubriaconi seduti in fila sugli sgabelli. Il barista era in fondo e stava pulendo dei bicchieri, mentre osservava una noiosa partita di biliardo fra due ragazzini che stavano sbocciando sonoramente nell’angolo remoto del bar.
Il barista fece cenno a Frank di accomodarsi al suo sgabello. Lui non si fece pregare. Buon vecchio Daniel, si conoscevano da quand’erano bambini. Gli stava già riempiendo il bicchiere con il suo whiskey preferito, intanto aveva già in canna una delle sue solite battute. [DICENDO COSÌ SAPPIAMO GIÀ CHI STA PER PARLARE].
“Un rabbino entra in un caffè.”
“Cristo, ancora con queste stronzate?” [NON SERVE DIRE CHE È FRANK DATO CHE È UN BOTTA E RISPOSTA]
“Dai fammi finire…”
Daniel riempì il bicchiere fino all’orlo e lo colpì con il fondo della caraffa di cristallo. [AZIONE CHE SPEZZA, MUOVE LA SCENA E DEFINISCE CHI HA LA PAROLA]
“Spero sia gratis!”
Nessuno rise. Lui se la prese e tornò a pulire il bancone.
“Sempre di buon umore, eh? C’è qualche novità?” chiese Frank mentre sorseggiava il distillato. Aveva una voglia disperata di fumare, pensò, anche se aveva smesso da vent’anni. [CAMBIO DI ARGOMENTO, SERVE RIDEFINIRE I SOGGETTI DEL DIALOGO. OCCASIONE PER DARE SPESSORE AL PERSONAGGIO.]
“Ho comprato l’auto nuova, mi hanno fatto lo sconto sull’ultimo bancale di fusti che ho preso per il locale e mia moglie si fa scopare dall’idraulico. Vuoi vederla?”
“No grazie, tua moglie mi fa schifo.”
“Intendo la macchina, idiota!” esclamò Daniel tirando una bestemmia che incendiò il cielo. [CARATTERIZZAZIONE DEL PERSONAGGIO, QUINDI SPECIFICANDO CHE STA PARLANDO LUI, RAFFORZIAMO IL MESSAGGIO]
“Lascialo perdere, prima un tizio è entrato e gli ha dato delle grane” berciò uno degli altri vecchi seduti al bancone. [NECESSARIO DEFINIRE NUOVO SOGGETTO PARLANTE]
“Ah sì? Chi è che oserebbe entrare nel nostro locale e piantare un casino?” chiese Frank scuotendo pensosamente il capo. [PAUSA DI RESPIRO] “Mi manca quando rispettavano le bettole malfamate come la nostra…”
“Il tizio era armato, Frank.”
“Con un cannone gigante…” si premurò di specificare il barista piazzandosi la mano sul pacco. [SERVE SPECIFICARLO, DATO CHE ORA CI SONO TRE PERSONE COINVOLTE NEL DIALOGO. INOLTRE, REGISTRO BASSO VISTO LA CARATURA DEI SOGGETTI COINVOLTI]
“Una pistola?”
I due annuirono.
“Una pistola vera?”
Daniel gli riempì di nuovo il bicchiere prima che fosse finito, come se avesse vinto un premio per le sue domande stupide. [DICENDO COSÌ CI SIAMO RISPARMIATI UN “DOMANDÒ NELLA FRASE PRECEDENTE]
“Già, una pistola vera e carica. Quanto puoi essere idiota a entrare in una bisca della mafia con una pistola giocattolo?”
“Ripeto… chi è tanto stupido per minacciare un locale di Don Matteo?”
“Speravo potessi dirmelo tu.”
“Io?”
[NOTARE LA CONCITAZIONE DEL DIALOGO, E LE FRASI CHE SI ACCORCIANO PER ACCELERARE IL RITMO]
“Sì, proprio tu” s’intromise una voce alle loro spalle. Al barista cadde in terra la bottiglia. I vecchietti si rattrappirono sui loro sgabelli. [L’ACCELERAZIONE DI PRIMA PORTA A UN CAMBIO SCENA INASPETTATO]
Frank si voltò verso l’ingresso. Don Matteo in persona, coppola sulla testa pelata, sbarbato, la cicatrice che gli segnava la mascella e il gessato grigio con cravatta rossa e scarpe marroni. Il completo dei giorni di festa. [DESCRIZIONE A TILT]
Una festa che, Frank dedusse deglutendo a secco, quella sera dovevano fare a lui. [CHIUSURA DELLA SCENA COMPLESSIVA, LA TRAMA È ANDATA AVANTI, SI PREPARA UNA NUOVA SCENA E UN NUOVO DIALOGO]
Questo è il tipico esempio di dialogo che mi piace. Chiaro, veloce, che porta da qualche parte e non si perde in troppe divagazioni se non per arricchire i personaggi.
Ritmo
Il ritmo di un testo è dettato da più fattori e va sempre tenuto in grande considerazione dallo scrittore, dato che è il metronomo con cui il lettore procede nella lettura. La scena deve essere al cardiopalma, tesa, ricca di suspense? Serve un ritmo sostenuto. La scena è contemplativa, è un momento di catarsi del personaggio? Allora è necessario lasciar respirare il lettore affinché sì goda il momento.
Come si crea però il ritmo di un testo?
- La presenza o meno di un momento di riflessione, il “pensato”
- Alternando in maniera efficace le descrizioni e i dialoghi
- La velocità con cui cambiano le scene
- La scelta dei movimenti con cui presentare le descrizioni
- Usando periodi paratattici o ipotattici
Il “pensato” è quel momento in un testo in cui il lettore entra nella testa del personaggio principale della scena. Può esserci o non esserci, dipende se si è scelto di dare onniscienza al lettore. Quando c’è, si tratta di momenti in cui lo scrittore vuol fare empatizzare maggiormente con tale personaggio – o vuol farlo odiare dal lettore, nel caso di pensieri orribili e crudeli – e in base a quanto questi momenti di “pensato” sono lunghi e complessi, ciò detta il ritmo del testo.
L’alternanza delle descrizioni e dei dialoghi è fondamentale. Una scena concitata presenterà dialoghi serrati, descrizioni rapidissime e funzionali a descrivere lo scorrere degli eventi, senza ulteriori perdite di tempo. Non ci sarà spazio per lunghi pensieri, solo brevi considerazioni ricche di pathos. I dialoghi stessi non saranno lunghi, piuttosto ci saranno numerose riprese con intervallate delle brevissime descrizioni. Una scena distesa invece può prevedere una descrizione accurata e un dialogo fatto di frasi più articolate, più soppesate da parte dei dialoganti. Ci saranno numerose pause di respiro. Saranno presenti dei pensieri del personaggio intorno a cui ruota la scena.
Anche la velocità con cui cambiano le scene è determinante per il ritmo. In un inseguimento, l’ambiente circostante cambia di continuo, è un fluire di descrizioni che mutano e si spostano insieme ai personaggi. Un ritmo più pesato e disteso invece va a braccetto con scene più fisse, addirittura una singola lunga scena in un solo posto, che diventa così un momento teatrale.
I movimenti delle descrizioni sono anch’essi fondamentali per dare ritmo. Un carrello o un pan possono dare grande dinamismo alla scena e condurre a numerosi cambi di ambiente. Un tilt è ideale per introdurre un nuovo personaggio, e più è dettagliato, più il ritmo cala e prende respiro. Zoom e apertura/chiusura sono invece movimenti tipici di scene riflessive, che si concentrano nella descrizione corale di un luogo o di una situazione con parecchie cose da dire a riguardo.
La complessità di una frase
Ipotattica e paratattica sono due definizioni che esplicano la complessità di una frase. Un periodo ipotattico presenta una o più subordinate, cioè frasi che si concatenano all’interno di una frase più ampia che è il filo conduttore del discorso. Sarà ricco di parentetiche, frasi a “matrioska” una dentro l’altra, e serve di solito quando ci si trova a dover descrivere più cose contemporaneamente altrimenti il lettore non ha gli elementi per capire la situazione complessiva. Un periodo paratattico è invece la frase breve, il tanto vituperato “soggetto-verbo-complemento oggetto”. Può essere davvero un martello di affermazioni puntate, senza neppure il verbo. È necessario quando si deve sostenere un ritmo asfissiante.
Ipotattico:
Sebbene fosse passata l’una di notte, l’ora in cui il castello non era più accessibile per decisione del Re, Fabio aveva bisogno di entrare lo stesso, per quanto fosse conscio della stupidità di quel gesto.
Paratattico:
Era l’una di notte. Il castello era chiuso per ordine del Re. Fabio doveva trovare un modo per entrare lo stesso. Mossa stupida ma necessaria.
Esempio di ritmo serrato
“Dove sei?”
Non vedo niente. C’è un gocciolio alla mia sinistra. Echeggia dandomi un senso dello spazio intorno a me. L’odore è quello di una cantina ammuffita. Il pavimento è grezzo e ruvido, mi gratta la guancia e la coscia nuda.
“Parlami! Dimmi qualcosa!”
Vorrei parlare amore, ma non posso. Ho una gag ball spinta in bocca e credo che me l’abbiano appiccicata al viso con del nastro americano. Striscio spalla a terra, come un verme. ma non so dove andare. Quanto è grande questo posto?
Dove sei?
“DOVE SEI?!”
Ti sento urlare, ma non posso rispondere. La tua voce proviene da sopra di me, a 45°.
Un piano sfalsato? Oppure mi trovo fuori da uno stabile, dentro una rimessa, e tu sei in alto in una casa a fianco?
Non posso fare niente.
Sento delle botte e dei colpi d’arma da fuoco. Riconosco la tua S&W calibro 9, ha quel timbro alto caratteristico quando scarrelli. Due colpi in rapida successione, il terzo appena dopo. Petto-Petto/Testa. Sei proprio incazzato…
“Figli di puttana, cosa le avete fatto?”
Striscio verso il rumore, non posso fare altro. Il pavimento è una grattugia. Passo sopra una pozza appiccicosa, che mi lorda la pelle di una sostanza maleodorante. Impatto contro qualcosa di freddo e gommoso.
Uso la faccia per sentire. È il seno di una donna morta.
“Resisti!”
Bam bam – Bum. Bam bam – Bum. Stai scendendo al piano di sotto. La tua voce è sempre più forte.
Sono qui, amore. Ammazzali tutti.
Una luce improvvisa invade la stanza e mi acceca. C’è una sagoma sull’uscio con un fucile a canne mozze in mano.
Non sei tu.
La tua voce è ancora troppo lontana.
“Ti troverò!”
Esempio di ritmo disteso
La sabbia è più fine di quanto pensassi.
Avrò visto le immagini scattate dai rover un milione di volte da bambino, ho anche seguito le dirette degli atterraggi nel cuore della notte chiudendomi in camera mia e fingendo di essere andato a letto. Quando sono entrato in accademia, conoscevo già a memoria le relazioni tecniche di tutte le missioni. Mi sono sparato migliaia di ore di riprese della superficie, ho ascoltato ogni conferenza sul tema. Pensavo di essere pronto.
Eppure, la consistenza di questa sabbia rossa non mi è familiare.
Non è come infilare i piedi in spiaggia. Ok, ho la tuta che mi impedisce di sentire, ma avverto comunque una differenza sostanziale. Questo non è un suolo che i miei piedi sono avvezzi a calcare. La sabbia è vaporosa, inconsistente. Resa polvere da infiniti anni di sole non filtrato a sufficienza dalla debole atmosfera del pianeta. Anche la gravità è più bassa, ma questa ho avuto modo di provarla durante le simulazioni.
Nessuno però sapeva come un piede umano avrebbe avvertito il contatto con il suolo extraterrestre per la prima volta.
Mi stanno chiamando in cuffia. È l’operatore a bordo del vettore che è atterrato al centro del canyon. Vuole un resoconto della situazione. Non riesco a rispondere. Sento che stanno scaricando le buggy per prendere possesso del circondario, e avrebbe senso che io aspettassi di poter salire su uno dei mezzi gommati così da muovermi più velocemente. Ma istintivamente, mi viene da camminare. Un passo, due passi. L’istinto mi urla in testa di avanzare, di mettere un piede di fronte all’altro e di attraversare questo vallone da solo, alla vecchia.
Un uomo, i suoi piedi, una strada da affrontare.
La chiamata in cuffia mi sta irritando. Spengo la ricetrasmittente e mi godo il cielo arancione che digrada in un azzurro stinto, il sole che spunta oltre le dune di sabbia rossa, il paesaggio aspro e drammatico.
Un passo dietro l’altro, si fa come si è sempre fatto: siamo nati per esplorare con le nostre nude forze.
Marte è così bello dal vivo.
Conclusioni
Scrivere è un mestiere, e come tale si fonda su strumenti solidi e rodati. Non importa che siano sempre gli stessi per tutti i mestieranti: ognuno ha i suoi. In questa guida ho descritto i miei strumenti personali, ma invito ogni scrittore desideroso di migliorare – o il neofita che vuole iniziare – a tenere a mente gli elementi che ho descritto e trovare un suo modo per usarli nel modo più efficace, senza mai dimenticarsi che si scrive per i lettori, e per tale ragione è importante offrir loro il testo nel modo più efficace e piacevole possibile.
Un mio romanzo con ritmi molto elevati è Piano Rupe, un thriller distopico ad alto tasso adrenalinico. Sempre un distopico ma più intimo e riflessivo è Vecchio Conio.
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