La scrittura, oltre che essere un’arte e un passatempo fantastico per tenere attiva la creatività, è anche una palestra per il proprio cervello e una sfida che ci mette di fronte a tanti aspetti di noi che nella vita comune tendono a passare inosservati. Scrivere è prima di tutto una lotta contro se stessi, contro la propria creatività sopita e contro la mancanza di voglia di applicarsi. In fondo, la passione per la scrittura ha delle somiglianze con lo sport: per quanto possa piacere far fatica, c’è sempre una parte di noi che si oppone e che ci sprona a restare sul divano a poltrire.
Superare il blocco dello scrittore non è affatto facile ed oggi vi propongo una tecnica che ho elaborato personalmente che mi aiuta molto quando succede anche a me. Le motivazioni di tale fenomeno sono tante, magari non avete idea di dove iniziare col vostro romanzo.
Ma non è solo una questione di voglia di scrivere: la continua guerra con noi stessi ci spinge anche ad accettare trame non brillanti e soluzioni “pigre” pur di andare avanti, oppure di fermarsi illudendoci che stiamo soltanto “prendendo fiato”, mentre invece siamo in fondo a un vicolo cieco.
Vediamo ora come possiamo limitare queste tipiche tendenze umane, usando un po’ di malizia e di trucchi del mestiere.
La teoria
Anni fa lessi un libro illuminante, Thinking, Fast and Slow di Daniel Kahneman, premio Nobel in Scienze Economiche. Una parte del saggio mi colpì particolarmente: parlava bias cognitivi, cioè quei pregiudizi che ci condizionano nelle nostre azioni e che sono causati da un’errata visione della realtà e delle situazioni. Kahneman ha introdotto una teoria basata su una diversa suddivisione delle attività mentali rispetto alla tradizionale – e ormai superata – organizzazione in base agli emisferi. Per anni si è sempre detto che il cervello è diviso in due parti, l’emisfero destro “creativo” e quello sinistro “razionale”, ma si tratta di una classificazione un po’ superficiale che è stata ridiscussa e migliorata nel tempo.
Kahneman ha introdotto la logica del Sistema 1 e del Sistema 2. Tali “sistemi” sono comandati da complesse interazioni all’interno del cervello, e sviluppano comportamenti diametralmente opposti: il Sistema 1 è velocissimo, reattivo, istintivo ed emozionale. È vorace di energia e si attiva quando c’è qualcosa da imparare, come quando siamo bambini. Il Sistema 2 invece è lento, poco reattivo, abile a svolgere azioni meccanicamente e automaticamente, ed è soprattutto “pigro”. Consuma poca energia e si applica quando dobbiamo svolgere azioni ormai ampiamente assimilate, quindi è tipico della fase adulta di una persona.
Questa suddivisione mi ha portato ad adattare le teorie di Kahneman all’ambito della scrittura.
Quelli che lui definisce come Sistemi, vengono spesso chiamati anche Pensieri, nome che io preferisco. Essi sono pilotati dal cervello mettendo in campo interazioni fra gli emisferi, quindi non stiamo parlando della solita distinzione fra emisfero sinistro e destro: entrambi contribuiscono alla formazione di questi Pensieri, “A” e “B”.
Vediamo quindi come le teorie di Kahneman possono aiutarci a scrivere meglio.
Il Pensiero A
Quello che viene chiamato Pensiero A è ciò che viene in nostro aiuto quando dobbiamo imparare per la prima volta qualcosa, o dobbiamo applicarci a un’attività che non sappiamo ancora gestire. Faccio subito degli esempi: quando da bambini impariamo ad allacciarci le scarpe o ad andare in bicicletta, quando da adolescenti ci approcciamo a una nuova lingua, quando da adulti stiamo guidando in una città caotica e sconosciuta. Queste situazioni prevedono una pluralità di interventi, decisioni, azioni e movimenti che coinvolgono il cervello a più livelli e che pretendono la massima attenzione ed energia.
Il Pensiero A è, per così dire, altamente energivoro. Quando il cervello deve dedicarsi a qualcosa che non conosce ancora e non sa gestire in maniera automatica, dedica una grande quantità di energia per risolvere la situazione in atto. È anche per questo che i bambini hanno un consumo di risorse incredibilmente alto: perché il loro cervello, che già è uno degli organi più bisognosi di “benzina”, ne pretende ancora di più.
Punti forti e deboli del Pensiero A
La voracità del Pensiero A è la sua forza ma anche la sua grande debolezza. Infatti, tale Pensiero è abilissimo ad approcciarsi a un problema nuovo per imparare come risolverlo ed è in grado di dedicare tutto se stesso, ma ciò comporta un dispendio di energie che ci viene istintivo di conservare, più invecchiamo.
Quando siamo bambini, praticamente viviamo immersi nel Pensiero A. Tutto ci è nuovo, è tutto da imparare. In questa fase, infatti, siamo in grado di assimilare più lingue contemporaneamente, dedicarci a sport e musica, imparare a memoria poesie, eccetera. Questo perché il Pensiero A sta consumando immani quantità di energia per spingere al massimo la nostra abilità a imparare cose nuove e a metterle in pratica.
Il pensiero A è squisitamente creativo: ogni soluzione può essere buona, quando il problema da risolvere è sconosciuto.
Crescendo e invecchiando, il Pensiero A tende ad attivarsi sempre meno, perché abbiamo pian piano incrementato la nostra esperienza della realtà e della vita fino a non averne (quasi) più necessità diretta. Se dovessimo disperdere le stesse energie consumate dal Pensiero A anche quando siamo più anziani, la vita sarebbe assai più difficile e, forse, più breve.
Il cervello, essendo un organo magnificamente complesso, ha saputo trovare una soluzione a questo consumo energetico strutturandosi in quello che viene chiamato Pensiero B. Se volete allenarvi in merito al Pensiero A, potete consultare i miei 10 esercizi di scrittura creativa.
Il Pensiero B
Prendiamo uno degli esempi di prima, il bambino che impara ad allacciarsi le scarpe. Vi sarà capitato di venderne uno in azione: lingua di fuori, occhi fissi sulla scarpa, le mani che esitano e sbagliano più volte. Può succedere che non sia neppure più conscio di quello che sta succedendo intorno a lui. Questo perché il Pensiero A è in azione. Ora pensiamo a noi nella routine di tutti i giorni: siamo in grado di allacciarci le scarpe mentre siamo al telefono, senza neanche guardare e in un paio di gesti sempre uguali. Quanta attenzione stiamo dedicando a quell’azione? Quasi zero. Questo perché il Pensiero B ha preso il posto del Pensiero A.
Il Pensiero B è eccezionalmente abile a compiere azioni in automatico, ad eseguire pattern che conosciamo già bene e ad operarsi in routine eseguendole alla perfezione. Il pensiero B riesce a lavorare in background, cioè si adopera anche mentre stiamo facendo cose diverse: possiamo parlare con un amico mentre andiamo in bicicletta, oppure possiamo discutere con più persone mentre cuciniamo. Questo ci consente di essere multitasking: quando viene citata questa caratteristica, ci si sta riferendo al fatto che l’essere umano è in grado di attivare più processi di Pensiero B, contemporaneamente.
Il Pensiero B prende in carico ciò che ha imparato il Pensiero A, così che quest’ultimo non debba richiedere ulteriori risorse. Una volta che abbiamo imparato qualcosa di nuovo e l’abbiamo interiorizzata, essa diventa materiale per il Pensiero B, che può mettersi al lavoro senza rubare concentrazione ed energie al resto.
Infatti, il Pensiero B è incredibilmente parco nei consumi. Necessita di pochissima energia per operare e comporta un minimo di concentrazione, se non nulla. Così facendo il cervello ha trovato una soluzione ottimale al consumo di risorse: quando è necessario imparare qualcosa, il Pensiero A brucia tutto il necessario. Quando vanno ripetute tali azioni per tutta la vita, il Pensiero B esegue consumando pochissimo.
Vorrei fare un altro esempio tipico: vi è mai capitato di guidare nella vostra città e di rendervi conto che avevate la testa fra le nuvole? Capita di arrivare a casa e neanche ricordarsi cosa sia successo lungo il percorso. Questo perché il Pensiero B è totalmente in controllo delle operazioni. Nel frattempo abbiamo divagato con la testa, ascoltato musica, fumato, parlato con qualcuno, senza mai dover pensare alla guida.
Vediamo una situazione diversa: stiamo guidando in una città sconosciuta, basandoci su un navigatore che però ci sta aiutando fino a un certo punto, con altre persone in auto che parlano. È possibile che si debba chiedere alle persone di azzittirsi oppure di dover spegnere la radio, perché ogni cosa non inerente alla guida, distrae. Eppure, l’atto di guidare è il medesimo! Dovrebbe essere attivo solo il Pensiero B. Ma dato che non conoscete il posto in cui vi trovate, ha fatto capolino il Pensiero A che è stato attivato per iniziare a raccogliere tutte quelle informazioni che, nel lungo periodo, renderanno familiari la città in cui vi trovate.
Punti forti e deboli del Pensiero B
Come il Pensiero A, anche il nostro amico B ha un grandissimo pregio e un mortale difetto. La sua economicità energetica è fantastica perché ci consente di vivere compiendo una moltitudine di azioni, pensieri e movimenti contemporaneamente, però è anche la causa di una grave pigrizia mentale. Infatti, mi piace dire che il Pensiero B sia anche il Pensiero Pigro. Dato che il nostro cervello non vede di buon occhio consumare più energia del necessario, fa di tutto per non riattivare il Pensiero A mettendo in discussione le azioni del Pensiero B, dopo una certa età (tipicamente, dopo l’adolescenza).
Cosa si intende? Capita di dover imparare nuovamente a fare qualcosa che si dava per scontato. Ad esempio, un programma nuovo al lavoro, una procedura cambiata, un incarico diverso. In queste situazioni, il Pensiero B lotta per non essere accantonato, perché è profondamente pigro. Dover reimparare qualcosa pretende che il cervello riattivi il Pensiero A, ma il Pensiero B fa di tutto per opporsi.
Quante volte avete visto una persona anziana rifiutare di comprendere come si usa un nuovo telefono, o un collega a cui hanno cambiato la mansione opporsi e lamentarsi. Sono reazioni normali causate dal Pensiero B che non vuole cedere il passo al Pensiero A. Se questo ostracismo viene sconfitto, allora il Pensiero A si rimette in moto, matura ciò che deve maturare, poi lascia nuovamente il campo al Pensiero B per operare in base alle nuove regole imparate. Ma questa azione di riaccendere il Pensiero A viene ostacolata in ogni modo da noi stessi.
Siamo giunti alla questione più importante: se è dal Pensiero A che si innesca la creatività per imparare nuove cose, mentre il Pensiero B è quello che tipicamente è attivo la maggior parte del tempo, come facciamo a tornare indietro sui nostri passi e far regredire il Pensiero B in Pensiero A?
L’applicazione alla scrittura
Come ho specificato all’inizio, mi sono ispirato alle teorie di Kahneman prendendone solo alcuni aspetti, perché le teorie del grande premio Nobel sono assai più vaste e articolate mentre a me interessavano gli aspetti specifici che si applicano ai processi creativi. Da qui la decisione di preferire il nome “Pensieri” e di escludere tutto ciò che concerne la differenziazione fra Razionale e Irrazionale, un dualismo centrale nella sua teoria dei Sistemi.
Nella mia carriera di scrittore mi sono reso conto infinite volte di quanto spesso indulgo nel Pensiero B senza pormi con la dovuta freschezza nei confronti della mia passione creativa. Questo cosa comporta?
- Scarsa volontà a trovare idee originali
- Mancanza di voglia a scrivere
- Timore a iniziare una nuova storia
- Tendenza a scegliere “la prima idea buona” o “la prima soluzione che passa per la testa”
- Facilità di ripetersi: perché cambiare stratagemma narrativo, se posso copiarne uno già provato e funzionale?
E questi sono solo alcuni esempi. Si tratta di atteggiamenti che impoveriscono la creatività, che rallentano il lavoro e che, molto spesso, impediscono di portare a termine i progetti iniziati.
Il motivo è presto detto: l’atto di scrivere prevede l’uso di entrambi i Pensieri A e B, per fasi diverse del lavoro, ma il Pensiero A è quello che deve essere il più possibile dominante.
Quando si è all’inizio e si deve inventare una storia da zero, siamo nel territorio esclusivo del Pensiero A: dobbiamo affrontare l’idea con l’occhio nuovo di chi deve imparare tutto. Un’idea appena nata ha bisogno di essere giudicata, contestualizzata, arricchita, decorata e collocata in un tempo e in uno spazio. Queste sono tutte azioni mentali che necessitano l’approccio del Pensiero A. Dobbiamo metterci in gioco e spremere al massimo l’originalità di una nuova idea.
In questa fase, il Pensiero A deve essere al comando e deve guidarci a predisporre la prima parte del lavoro, cioè l’ideazione della timeline e dei driver di trama, la base della struttura di un qualsiasi romanzo.
Una volta strutturata l’idea come ci piace, da quel momento parte il lungo – a volte lunghissimo – lavoro di scrittura. Le migliaia di ore passate davanti allo schermo, le centinaia di serate spese a pigiare dei tasti. In quei momenti è utile il Pensiero B, perché esso è il maestro dell’automatizzazione del lavoro con il minimo dispendio di energie. Se impariamo a lavorare a un libro in maniera automatica, non sentiamo nemmeno l’eccessivo peso di ciò che stiamo facendo. Avvertiamo meno la fatica, la perdita potenziale di tempo, ci angosciamo meno se stiamo facendo o no la cosa giusta: tutte emozioni che tendono a frenare il lavoro.
Lo scrittore navigato sa come usare il Pensiero A quando serve la creatività, e il Pensiero B quando c’è da “produrre” a testa bassa.
Come applicare il Pensiero B alla scrittura?
Come si fa ad automatizzare la scrittura dando sfogo al Pensiero B? Prima di tutto, non bisogna dare tanto peso al momento, al contesto e all’atto di scrivere.
Spesso e volentieri vedo aspiranti scrittori che danno troppa rilevanza al dove, quando e con cosa scrivono. Cercano perennemente strumenti a supporto di una tanto agognata “concentrazione”, che reputano fondamentale per produrre. Danno esagerato valore all’aver scritto “tot” pagine o “tot” parole, oppure si impuntano che si debba scrivere solo in determinati contesti e situazioni (solo nel silenzio, solo nella propria stanza, solo in un determinato modo o programma, etc). In realtà, il Pensiero B ci insegna che, nel momento in cui la scrittura diventa una parte automatizzabile delle nostre competenze, dovremmo essere in grado di produrre quasi in ogni contesto. Se non stiamo scrivendo perché non ci viene di farlo, nessuna app per la concentrazione o dispositivo “anti-distrazioni” ci salverà dal vuoto creativo: significa che non abbiamo ancora automatizzato l’atto di scrivere.
Alcuni consigli per far diventare “Pensiero B” la scrittura:
- Non dare peso a quanto si scrive, ma solo al fatto che si sta scrivendo con regolarità
- Non fissarsi su posti, orari, strumenti e contesti. Si crea un approccio mentale negativo che ci impedisce di scrivere quando non abbiamo “ciò che serve”
- Non fissarsi su una storia, se essa non ingrana. Piuttosto, meglio dedicarsi subito ad altro e non far nascere una repulsione alla scrittura a causa di qualcosa che intimamente non ci convince più.
- Non perdersi in mesi se non anni di ghirigori sulla propria ambientazione, sui retroscena, sulla storia non descritta dei personaggi, eccetera. Si sta solo fuggendo dalla realtà dei fatti, e cioè che non si sta andando avanti, bensì si sta girando in tondo.
- Ricordarsi sempre che scrivere non è niente di che. La passione per la scrittura non ci rende migliori o più bravi o più creativi di altri. Al massimo potremo dire – in un futuro remoto e dopo aver raggiunto dei traguardi concreti – che siamo magari “bravi” a scrivere, ma ciò non ci eleva automaticamente ad artisti di chissà quale importanza. Scrivere è artigianato artistico.
- Bisogna trovare divertimento nello scrivere. Nell’istante che questa passione diventa un peso, una fonte di malessere e di tristezza, stiamo sbagliando qualcosa. È normale sentire la pressione di farlo, perché magari si vuol arrivare alla fine di un progetto ed è una tensione naturale. Però questo non deve causare sofferenza o senso di inadeguatezza.
Tutto ciò può aiutarci ad automatizzare la scrittura, così da darci uno strumento potentissimo: la capacità di dedicarci ad essa quando e come vogliamo, in ogni contesto e in ogni condizione.
Bisogna però ricordarsi sempre di una cosa importantissima: il Pensiero B è pigro, quindi tende a usare stratagemmi e soluzioni che comportano meno sforzo possibile. Per cui ci vuole sempre lo spirito critico di dire, sto scegliendo la soluzione migliore, o quella più facile?
Per questa ragione la scrittura pretende anche l’uso del Pensiero A! Sarà proprio lui a fornirci le idee giuste, lasciando al Pensiero B solo la parte noiosa e gravosa, quella del lavoro indefesso sul testo. Questo è l’approccio ideale: minimo consumo energetico nelle lunghe fasi di produzione, e picchi creativi ed energivori quando serve “la marcia in più”.
Ma come facciamo ad attivare il Pensiero A quando serve?
Come usare il Pensiero A nella scrittura
Per lo scrittore, il Pensiero A è fondamentale nella fase di sviluppo iniziale dell’idea, e in più serve ogni qualvolta è necessario inventare nuove soluzioni mai pensate prima per portare avanti la trama su cui si sta lavorando. Il Pensiero A è il pensiero creativo, innovativo e problem-solver. Diamogli in pasto le nostre idee sconclusionate e facciamo sì che sia esso a metterlo in fila, a svilupparle, a riordinarle e a potenziarle con dei contesti efficaci!
Ma come si fa?
Prima di tutto, è importante educarsi all’esistenza del Pensiero A. Dobbiamo avere contezza del fatto che nella nostra vita abbiamo fasi in cui impariamo/creiamo, e altre in cui applichiamo/produciamo in maniera automatica. Allo stesso modo, dobbiamo renderci conto di come raramente ci impegniamo a tornare a uno stato mentale creativo e affamato di energia. Drammaticamente spesso la nostra vita è solo un susseguirsi dei medesimi pattern che perseguiamo senza più la voglia di disperdere energie per cambiarli o migliorarli; la tanto temuta routine che si innesca crescendo e invecchiando.
Senza entrare in mirabolanti discorsi motivazionali, per quanto riguarda la scrittura è fondamentale imparare come riavvolgere il nastro e tornare al Pensiero A il più facilmente possibile, così da produrre idee e soluzioni con relativa semplicità. L’obiettivo è riaccendere il Pensiero A a comando.
Qualche suggerimento per rinvigorire il Pensiero A:
- Prendersi un momento giornaliero per dare sfogo ad attimi creativi: apparecchiare la tavola in maniera diversa dal solito, prendere un fiore e metterlo in casa, osservare il paesaggio fuori dalla finestra di casa propria e vedere se c’è qualcosa che non si è mai notato prima.
- Riflettere su ciò che si sta scrivendo chiedendosi se ci sono soluzioni più innovative da mettere in campo
- Osservare la vita intorno a sé e inventarsi storie: una barista che prepara il caffè può diventare la protagonista di una microstoria drammatica, il benzinaio che ci sta facendo il pieno potrebbe essere in realtà un agente sotto copertura, e così via.
- Cambiare qualcosa senza preavviso. Ad esempio, mettere su musica a caso che non si conosce e non si è mai sentita perché molto diversa dal proprio gusto, cucinare qualcosa di cui non si conosce la ricetta, cambiare percorso per andare a scuola o al lavoro. Sono tutti esempi di azioni di “ribellione” verso la routine, che potrebbero facilitarci l’accesso al tanto agognato Pensiero A.
Sono piccoli gesti, ma possono aiutarci ad approcciare il Pensiero A ogni qualvolta sia necessario per il lavoro di scrittura.
Conclusioni
La teoria sui Pensieri non si applica soltanto alla scrittura, volendo può essere allargata a ogni aspetto della propria vita. Ad esempio, è un’abitudine sana quella di tornare al Pensiero A il più spesso possibile per godersi un momento mentale di creatività, che riaccende uno spirito che purtroppo la vita quotidiana tende a sopire e sopprimere spesso e volentieri.
D’altro canto, sapere che il Pensiero B è pigro e fa di tutto per non regredire di nuovo a Pensiero A ci può aiutare a comprendere perché certe persone, o noi stessi, non siamo ben propensi a cambiare abitudini, e questo ci dà un vantaggio: la consapevolezza è sempre la prima chiave di successo quando dobbiamo avere a che fare con i nostri comportamenti e le conseguenze delle nostre azioni.
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