La fantascienza è un genere della letteratura che abbraccia un’infinità di sottogeneri diversi. Come assunto di partenza, un romanzo si può definire “fantascientifico” quando introduce elementi scientifici, tecnologici e sociali inesistenti nell’epoca in cui è stato scritto. È una definizione molto vaga, ma funzionale alla catalogazione dei vari sottogeneri.
Un romanzo di fantascienza può essere collocato nel futuro prossimo o remoto, può descrivere situazioni tecnologiche e sociali improbabili oppure fortemente realistiche, può essere “parascientifico” e presentare elementi appunto paranormali, e così via.
Grazie all’escamotage del contesto fantascientifico, è possibile immaginare praticamente qualsiasi cosa, parandosi dietro una semplicissima motivazione: quello che ad oggi è impossibile, potrebbe diventare realtà con il passare degli anni / secoli / millenni.
Ci sono autori che preferiscono restare ancorati al realismo, per cui si dilettano a descrivere scenari derivati dalle conoscenze scientifiche attuali senza azzardare ipotesi non plausibili: di solito si tratta di scienziati prestati alla letteratura – fra i miei preferiti – oppure appassionati che si dedicano a lunghe e complesse ricerche. Altri autori invece desiderano sfruttare il tema fantascientifico per delineare sviluppi della società umana, di solito con un approccio fortemente critico che parte dalle storture della loro epoca e che sono alla base di scenari tremendamente negativi.
La fantascienza distopica è un sottogenere specifico che è caratterizzato da ambientazioni collocate in futuri indesiderabili, caratterizzati da società totalitarie, violente, tecnocratiche. È un tipo di fantascienza che si concentra sugli effetti negativi della scienza e della tecnologia nel plasmare la società del futuro. I grandi della distopia sono, ad esempio, George Orwell (1984), Aldous Huxley (Brave New World) e Ray Bradbury (Fahrenheit 451).
La letteratura distopica vede la sua genesi nei primi del 900, nel periodo delle dittature nazifasciste, e prosegue con opere di pregio fino agli anni 70. Da lì in avanti, il tema distopico è poi confluito nella narrativa cyberpunk, che affronteremo in un secondo momento [LINK], per poi tornare in auge con ambientazioni a se stanti dopo il 2000 – Maze Runner, Hunger Games, I figli degli uomini, V per vendetta eccetera.
Lo scenario distopico può essere utilizzato per raccontare storie che di scienza hanno poco o nulla. Ad esempio, in Non ho la bocca, e devo urlare, di Harlan Ellison, esiste un’intelligenza artificiale maligna e onnipotente che tortura i pochi umani sopravvissuti in un mondo ormai reso inabitabile da una guerra atomica, causata dalla stessa IA. La storia è incentrata sulla bruttura morale dei personaggi, resi abietti dalle condizioni estreme in cui sono costretti a vivere dalla IA. Si tratta di una storia horror a tutti gli effetti, che guadagna di peculiarità grazie allo sfondo distopico.
Utopia e Distopia
Approfondiamo il significato stesso del termine Distopia: si tratta dell’opposto di Utopia, che per definizione è un assetto politico, sociale e religioso che non trova riscontro nella realtà, ma che viene proposto come ideale e come modello [come riportato su Wikipedia]. In parole povere, uno scenario utopico è un mondo in cui l’umanità ha raggiunto un progresso, un benessere, una tolleranza e una situazione di pace che non ha riscontro nell’attualità, e che di solito è talmente ideale, da essere un sogno inarrivabile più che una reale speranza per il futuro.
Il tipo scenario utopico prevede un mondo in pace che ha superato i problemi di povertà, fame e malattie. L’energia è illimitata grazie a tecnologie superiori. Il sistema solare è sotto il controllo umano.
Questa condizione della società viene di solito chiamata “post-scarcity civilization”, la civiltà post-scarsità. In pratica, esauriti i problemi secolari che affliggono l’umanità sin dalla sua genesi – e questo grazie a tecnologie avanzatissime – finalmente l’uomo può concentrarsi su obiettivi più alti e filosofici, come scoprire altre forme di vita nell’universo, comprendere la ragione di ogni cosa, esplorare la galassia, e via andare.
Uno scenario “post-scarcity civilization” molto conosciuto è Star Trek, o nel caso di film, Gattaca.
Fra le opere che ho scritto, ho una serie di romanzi ambientati in uno scenario post-scarsità: Sialon 02 e Gioia Grigia (in uscita).
L’ambientazione distopica, come dicevo, è l’opposto di quella utopica, per cui si parte dal presupposto che la scienza non abbia elevato l’umanità, bensì l’abbia condannata. Invece che liberare l’uomo dalle catene della fame, della povertà e della mancanza di energia, la società tecnocratica è divisa fra immensamente ricchi e immensamente poveri. La tecnologia può essere avanzatissima, ma è usata anche e soprattutto per soggiogare i popoli, per controllare e uccidere.
Descrivo un potenziale scenario distopico: una classe dominante controlla lo stato più potente del mondo e soggioga la popolazione del pianeta tramite un social network manipolato per infondere un messaggio molto pericoloso: la qualità della genetica di una persona determina la povertà e la ricchezza.
Al centro di uno scenario distopico, c’è la società e come essa è stata plagiata e corrotta dalla scienza e dalla tecnologia.
Gli elementi distopici
Dato che una storia distopica indaga sugli effetti che hanno la tecnologia e la scienza sulla società, quando esse sono usate in maniera nefasta, guardiamo alcuni degli elementi fondamentali di una “buona distopia”:
- La tecnologia al servizio del sopruso: controllo ferreo della popolazione, manipolazione dell’informazione
- La frattura sociale: fra ricchi e poveri, fra ignoranti e colti, fra “geneticamente perfetti” e imperfetti, fra dominanti e dominati
- Violenza, che può essere fisica, psicologica, o un mix delle due
- La scienza asservita al potere: il dominio passa dalla legittimazione della scienza, che viene usata per avallare idee reazionarie e crudeli
- Il marcio dietro il roseo: drammi sociali e sofferenza si nascondono dietro un’apparente normalità
Uno scenario distopico può sfruttare uno o più di questi elementi, nonché ne esistono altri più di nicchia che sono frutto di idee brillanti e originali. Ad esempio, il già citato I figli degli uomini, di Alfonso Cuarón, pone l’elemento distopico nell’incomprensibile crollo della fertilità della razza umana, che a causa dell’impossibilità di procreare, vede approssimarsi la fine dell’esistenza della propria specie e precipita in una spirale di odio sociale, violenza e prevaricazione.
Quello che tendenzialmente non manca mai in un’ambientazione distopica è il concetto che la scienza e la tecnologia, se mal usate e interpretate, possono avere effetti nefasti sul nostro futuro. Non è un caso che le prime distopie siano state scritte durante l’ascesa del nazifascismo: finita l’epoca ottimista e positivista dei primi anni del 900, dopo una prima guerra mondiale, gli autori dell’epoca hanno avvertito il pericolo rappresentato dall’escalation militare e tecnologica condita da pretesti scientifici di identità di razza, e hanno ipotizzato futuri orribili, come ad esempio quello di Una svastica sul sole, di Philip K. Dick. Il celebre autore sci-fi, caposaldo del genere distopico e Cyberpunk, si immagina un mondo dove il nazifascismo vince la seconda guerra mondiale. L’esempio più puro di distopia.
Una buona ricerca
Uno scrittore che abbia voglia di cimentarsi in una storia fantascientifica deve, di solito, effettuare una ricerca che gli consenta di descrivere la scienza e la tecnologia che desidera introdurre nel proprio scenario. Se ad esempio si vuole parlare di computer e intelligenze artificiali, è d’obbligo conoscere almeno i rudimenti di computer science ed essere aggiornati sullo stato attuale delle IA, prima di immaginare un futuro diverso.
Uno scenario distopico ha le stesse necessità, se non di più. Questo perché il focus di una storia distopica non è nella mera introduzione di mirabolanti tecnologie futuristiche, bensì nell’effetto che esse hanno sulla società. È quindi necessario comprendere non solo l’aspetto tecnico della scienza: serve capire soprattutto i pregi e i difetti potenziali della scienza stessa.
Facciamo un esempio pratico: supponiamo di voler parlare del pericolo dei social network e delle informazioni manipolate che viaggiano in essi. Se dovessimo usare il concetto di social in una storia fantascientifica cosiddetta “di genere”, più leggera, potrebbe essere sufficiente la nostra esperienza personale nell’uso dei social attuali. Ci basta aver chiaro cosa siano e vagamente come funzionino: in fondo, la trama graviterà su altro. Ad esempio, potremmo avere un protagonista che si rende conto di alcuni messaggi social pericolosi che paventano la nascita di un gruppo organizzato criminale, e si adopera per impedire una grave catastrofe. Conta come tecnicamente sia stato possibile diffondere queste informazioni? Non tanto.
Ma se volessimo approcciarci a una storia distopica, dove ad esempio i social network sono strumenti manipolati per il controllo massivo della popolazione al fine di incrementare l’odio e instaurare uno stato di polizia, abbiamo bisogno di capire nel dettaglio come i social network funzionano, come possono essere potenzialmente manipolati, come fa un contenuto a diventare virale, come vengono interpretate e lavorate le informazioni prima che raggiungano gli utenti, e così via. Altrimenti, si rischia di scrivere una storia distopica partendo da un assunto, ma esso è debole e criticabile. In tal caso, il fallimento è assicurato.
Dove cercare allora?
Internet è l’ovvia risposta. Ci sono infinite fonti utili per effettuare delle ricerche su argomenti scientifici e tecnologici, partendo dall’assunto che, se non si è esperti nel campo, quello che si può ambire è un’infarinata funzionale: uno scrittore di fantascienza non diventerà mai ingegnere grazie a un po’ di ricerche online. Questo però non limita la possibilità di creare storie credibili e incontestabili.
Il vero problema della fantascienza, rispetto ad altri generi, è infatti il rischio della implausibilità della trama. Trovandoci di fronte ad argomenti tecnici e scientifici, è assai facile attirare le critiche causate da un uso non ragionato della tecnologia, un pericolo meno comune per altri generi come il Fantasy.
Facciamo un esempio.
Paolo è un programmatore di IA e vive nella Londra del 2050. Per caso, mentre lavora a un suo progetto personale, sviluppa una intelligenza anomala che mostra atteggiamenti senzienti e umani, e la chiama MarzIA. Paolo decide di usare MarzIA per guadagnare illecitamente, applicando la sua IA per decriptare le transazioni bancarie, comodamente dal suo portatile domestico.
Possibile, no? Suona plausibile. Ma un informatico esperto potrebbe muovere numerose critiche, fra cui una piuttosto delicata: decriptare transazioni necessita di enorme potenza di calcolo, più che di una IA con atteggiamenti umani. Come fa Paolo, con un portatile domestico che presumibilmente sarà poco potente, a dedicarsi a un’attività del genere?
Lo scrittore che ha svolto il compito e ha fatto le sue ricerche, questo può saperlo, per cui può scegliere di “blindare” la trama diversamente.
Paolo è un programmatore di IA e vive nella Londra del 2050. Per caso, mentre lavora a un suo progetto personale, sviluppa una intelligenza anomala che mostra atteggiamenti senzienti e umani, e la chiama MarzIA. Paolo decide di usare MarzIA per guadagnare illecitamente, per cui investe tutti i suoi soldi, vende casa e auto, si indebita per ottenere una workstation dalla potenza professionale e, applicando la sua IA per decriptare le transazioni bancarie, si mette in gioco e tenta il tutto per tutto per diventare ricco.
Così facendo, almeno questo difetto macroscopico è risolto. Ci sarà sempre chi criticherà dettagli minori, ad esempio: una IA senziente che nasce per sbaglio? Come può un programmatore non rendersi conto di quello che sta facendo? Ma è già una critica minore, circostanziata.
Quindi, il consiglio è quello di effettuare una ricerca estensiva, studiare l’argomento almeno a livello divulgativo, una volta che si ha chiara l’idea che si vuole trasformare in romanzo. Ci sono tanti canali YouTube che fanno divulgazione tecnologica e scientifica. A volte basta quel dettaglio in più o quell’attenzione in più, per fare la differenza fra una storia “credibile” e una “ridicola”.
L’ambientazione
Dovrebbe essere chiaro finora che una trama distopica è incentrata sugli effetti nefasti della scienza sulla società. Ma quando va ambientata? E dove?
Non c’è un quando e un dove giusto: la distopia ha questo, diciamo, vantaggio.
Una trama distopica può essere collocata nell’attualità, come nel futuro più remoto. Può svolgersi nel proprio paese, o in un mondo totalmente inventato con stati dai nomi bizzarri e con un passato che non combacia affatto con il nostro. In mezzo, le infinite sfumature.
Ad esempio, uno scrittore potrebbe essersi chiesto, chissà come sarebbe ora il mondo se i Romani avessero scoperto l’America, grazie alla scoperta della bussola molto prima del previsto. Questa idea può generare una storia utopica (il mondo ora è avanzatissimo e in pace) o distopica (il mondo è sopravvissuto a una guerra nucleare avvenuta nel 1600). I nomi dei continenti e degli stati potrebbe essere radicalmente diverso. Le tecnologie del futuro potrebbero essere ora, o potrebbero non esserci proprio tecnologie.
Generalmente, le distopie più cupe e focalizzate sui “massimi sistemi” sono collocate in ambientazioni con meno collegamenti con la realtà, dove il lettore rivede i difetti della sua epoca trasposti in un contesto immaginario. Ed era anche la soluzione adottata nel passato, quando criticare governi o persone era pericoloso e non permesso. Allo stesso tempo, scenari attuali e molto vicini alla realtà dello scrittore tendono a essere più critici “nello specifico”, concentrandosi su determinati aspetti e distruggendoli.
In questo caso, conta l’idea iniziale: cosa si vuole criticare? Qual è lo scopo della trama? La risposta darà il luogo e il tempo in cui si svolgono gli eventi.
La Morale
Un romanzo, di qualunque genere sia, tende a custodire un messaggio. Una morale, chiamiamola così. Anche se non è nell’intento iniziale dello scrittore, una morale tende a percolare nella storia anche solo per come lo scrittore stesso la affronta, per le soluzioni di trama che usa. Uno scrittore pessimista sull’uomo, tenderà a sviluppare personaggi che mostrano sfaccettature di questa sua visione della vita. Quindi, una morale può essere palese – ad esempio, in V per Vendetta, la morale è che l’uomo deve agognare la libertà e lottare per essa ad ogni costo – oppure derivante dalla visione dello scrittore che permea il suo stile, come gran parte della produzione di Philip Dick.
È giusto introdurre una morale? Sì, se è ciò che lo scrittore desidera comunicare. È un diritto di uno scrittore dire la sua ed esprimere una propria opinione tramite il suo lavoro, ed è giusto che inserisca una morale che chiuda il cerchio e sia ciò che il lettore deve far suo, una volta letta l’opera.
È necessario? No, non è obbligatorio. Come ho già detto, una certa visione personale pervade comunque il testo. Ma se non si vuole esprimere una morale, ma solo porre il lettore di fronte ai fatti affinché possa lui stesso trarre delle conclusioni personali, perché no. È uno dei tanti modi in cui si può scrivere una storia.
Nelle ambientazioni distopiche, però, una morale tende a esserci quasi per forza. Esempio: dato che appunto una distopia parte dall’assioma che la scienza nelle mani sbagliate possa causare gravi ripercussioni sociali, una morale è dietro l’angolo. La scienza è pericolosa è già un messaggio.
Consci di questo, è necessario che lo scrittore “distopico” sappia modellare la morale che vuole trasmettere, senza lasciare al caso ciò che il lettore può interpretare. Proprio nell’esempio precedente, può essere che “la scienza è pericolosa” non sia un messaggio gradito allo scrittore, però il lettore può coglierlo comunque. È quindi compito dello scrittore di imbastire la storia ricordandosi di iniettare il messaggio corretto, che magari è: la scienza è pericolosa, se mal utilizzata.
Confondere attualità e distopia
Un difetto tipico delle trame distopiche è quello di restare troppo legati all’attualità, perdendo quindi quella matrice fantascientifica che permette al lettore di separare la realtà dall’immaginazione. Questo spesso causa una disaffezione e un rifiuto. Un esempio molto attuale (ad oggi, anno 2020) è offerto dalla pandemia di Covid-19. In questi mesi sono fioccati i libri distopici che provano a immaginare le conseguenze della pandemia, le vite delle persone in lockdown, gli sviluppi futuri. Queste opere non sono neanche lontanamente in vetta alle classifiche di vendita né di gradimento, e le case editrici stesse rifiutano il tema in maniera piuttosto categorica. Questo perché una trama con al centro eventi ancora caldi, attuali e in divenire, non può essere considerata distopica, dato che non c’è alcuna “distopia” in atto: c’è solo la proposta della realtà, in tutta la sua deprimente bruttezza.
Un altro esempio pratico è relativo ai romanzi che pongono al centro della trama il cambiamento climatico. È un argomento talmente tanto dibattuto e discusso ogni giorno, che come si può considerare “distopia” l’ipotesi che, ad esempio, i ghiacci nell’artico si scioglieranno causando uno stravolgimento globale? Non è distopia! Anche questa è attualità, descritta focalizzandosi su uno sviluppo tremendamente negativo di problemi attualissimi. Ci vuole quindi un approccio più originale, trovando un modo per parlare di cambiamenti climatici con una visione laterale, più interessante per il lettore che quindi non si imbatte nell’ennesimo libro “catastrofista”. Ad esempio, si potrebbe partire da un’altra ipotesi: l’umanità abbraccia le nuove tecnologie e in pochi anni, il petrolio inizia a diventare superfluo. Le reti però si sovraccaricano e, a causa dell’inefficienza e il malaffare, non c’è corrente per tutti. Invece che la pace, nel mondo scoppiano guerre energetiche per il sole, il vento e le maree. Carri armati elettrici che girano fra foreste rinate, navi a vela che si cannoneggiano su mari trasparenti…
Se si colloca una storia distopica molto vicino alla realtà, è bene ricordarsi di affrontare l’attualità con un approccio originale e che aiuti il lettore a calarsi nell’opera senza la repulsione tipica di chi non ha voglia di trovare le stesse ansie che prova ogni giorno, anche mentre legge.
Conclusioni
Che narri una storia nel futuro remoto o ambientata dopodomani, un romanzo distopico non è il più facile dei libri da scrivere. Ci vuole preparazione, visione, attenzione per i dettagli, competenza e, secondo me, anche tanta ironia. L’approccio grottesco e sarcastico paga di più, a volte, di quello depressivo. E quando si vuole spingere sull’aspetto depressivo, bisogna saper dosare gli elementi per non far scappare a gambe levate il lettore. Fra le possibili “fantascienze” da affrontare come scrittore alle prime armi, probabilmente la distopica è quella a più alto rischio di fallimento.
Da parecchi anni, l’ambientazione distopica è diventata molto appetibile per storie Young Adult (quelli che un tempo si chiamavano “libri per ragazzi”) perché il pubblico giovane tende a gradire particolarmente questo genere di storie. Non per nulla sono nate diverse saghe o serie di libri che trattano i problemi della gioventù usando l’escamotage narrativo della distopia. Piace al pubblico, piace un po’ meno a me. Preferisco la distopia matura, cruda e che tira i cosiddetti “pugni nei reni”.
Io ho scritto due romanzi distopici, Piano Rupe e Vecchio Conio. Entrambi sono ambientati in un futuro prossimo e li ho scritti per indagare due diversi problemi della contemporaneità: la cattiva politica il primo, e la potenza di un messaggio sbagliato il secondo.
E non c’è due senza tre…
Scrivi un commento